Nei contesti organizzativi spesso soffriamo per il tempo che ci manca, per quello che viene sottratto, per il tempo che non ci viene dato. Il tempo ci manca perché il ritmo e la pressione sulle cose da fare sono elevati; corriamo, ansimiamo, ma proviamo sovente un senso di inadeguatezza. C’è inoltre un tempo rilevante che, nella nostra percezione, ci viene sottratto e che non possiamo utilizzare per dedicarci alle cose che ci sono più care o che ci piace più fare.
C’è anche però il tempo che qualcuno non ci dà: è il poco tempo, per esempio, che il capo ci concede per discutere con lui dei problemi da affrontare, per condividere il percorso di sviluppo (dove sei e dove puoi arrivare) o i programmi dell’azienda. La dimensione e la qualità del tempo coincide con quella della generosità nei rapporti di lavoro.
Quando si è generosi si trasmette qualche cosa di più; non soltanto nel senso di “un non dovuto”, quanto piuttosto un qualche cosa che sostanzia e dà senso alla relazione, a un legame, a uno stare insieme. Analogamente, quando ascolti un capo generoso comprendi che sta andando oltre perché ti mette al centro e che sei importante; è generoso, mentre parla e ti racconta il contesto di una situazione, non tanto e non solo perché questo tempo sarà funzionale al tuo lavoro, ma perché consapevolmente sta costruendo una zona comune dove condividere e ampliare la relazione. Un manager generoso costruisce anche spazi nuovi di condivisione, di emozioni e sentimenti. In questo senso, la generosità è un atteggiamento, una competence attitude, un intangibile asset che coincide con la consapevolezza di mettere la persona e la relazione al centro.
“Ci guadagniamo da vivere con quello che riceviamo, ma costruiamo la nostra vita con quello che doniamo”: con questa frase W. Churchill afferma che essere generoso premia enormemente e che quindi quello che noi diamo ci dà più benessere di quello che riceviamo. La generosità non è pertanto un problema di altruismo, ma di benessere soggettivo e diffuso.
Kenneth Blanchard, nel suo libro Il fattore generosità afferma che “c’è molta gente che dice di avere a cuore le persone, ma in realtà non fa nulla a riguardo. La generosità consiste sostanzialmente nel prendersi a cuore le esigenze altrui per poi agire e soddisfarle. Il tempo viene incontro a un certo tipo di bisogno. Il talento a un altro. Il tesoro a un altro ancora, e il tatto anche. La generosità è questione di equilibrio, è questione di mettere a disposizione tutte le proprie risorse”.
Inoltre, la generosità non proviene dall’azione, ma dall’ascolto, perché non si basa sulla parola ma sul silenzio. Chi parla della propria generosità, non può essere generoso. La pratica del silenzio è la base della generosità e del benessere che questa crea. Perciò il fattore generosità non può essere limitato a una semplice relazione di coppia, uno a uno, ma deve essere estesa ai diversi livelli dell’organizzazione.
La generosità può dunque consentire una migliore speranza di passaggio da un mondo buono a un mondo bello. In questo mondo si inventeranno sempre nuove forme di benessere, di speranza di benessere e di quello che possiamo chiamare il “bellessere”. E tutto questo sarà incentivato dalla crescente consapevolezza della centralità della persona come fine e destinatario dei beni sociali ed economici per uno sviluppo e una crescita sostenibile e al servizio dell’uomo.