Lavorare di più per aumentare il Prodotto interno lordo e la competitività delle aziende. Questo refrain torna molto spesso nel dibattito italiano e ogni volta si scatenano le dichiarazioni tra le parti opposte. E se questo non fosse il vero problema? Esistono ragioni per credere che le difficoltà italiane siano molto più complesse rispetto all’eliminazione di una giornata festiva. Certo, tra lavorare 20 ore o 40 ore alla settimana vi è una chiara differenza, ma è bene comprendere alcuni punti chiave.



In primo luogo la partecipazione di più persone possibili nel mondo del lavoro. A proposito dell’esempio delle 20 ore, si ricorda che in Olanda il tasso di attività femminile è estremamente più elevato di quello italiano grazie a un utilizzo molto importante del part-time. Vogliamo aumentare il Prodotto interno lordo? Aumentiamo la partecipazione femminile nel mondo del lavoro.



Parliamo di competitività. Il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, ha ragione a indicare la necessità di fare riforme, ma “lavorare di più” non è una riforma. Molte statistiche internazionali indicano l’Italia come uno dei paesi con il maggior numero di ore lavorate, ma non per questo siamo competitivi.

Per affrontare il tema competitività è necessario andare a studiare il costo del lavoro per unità di prodotto. In Italia è elevato a causa della bassa produttività. Bisogna aumentare la produttività del lavoro e questo si può fare solo incentivando il merito. Il merito nelle imprese tramite contratti che siano più vicini ai lavoratori con una contrattazione a livello aziendale. Avere un contratto unico a livello nazionale in Italia non ha aiutato a premiare il merito, in tutte le aziende, anche quelle private.



La riforma del fisco è un’altra meta da raggiungere. Finché compiere le adempienze fiscali sarà un costo enorme in tempo e denaro per le imprese, queste non potranno competere nell’arena globale. Non è solo il livello della tassazione a essere eccessivo, come certificato dalla Banca Mondiale, ma anche quello della burocrazia.

Il tema della burocrazia è legato al settore pubblico. È indubbio che in Italia vi sia un sistema elefantiaco dal punto di vista della burocrazia a causa di uno Stato che è estremamente pesante. E i cambiamenti nel settore pubblico sono molto difficili da compiere. Non è un caso che nell’ultimo decennio le retribuzioni dei dipendenti pubblici siano cresciute molto di più rispetto a quelle dei lavoratori del settore privato in rapporto all’inflazione. In questo modo non sia aiuta la competitività, anche perché non si può certo dire che la produttività del pubblico sia aumentata quanto gli stipendi; e qui s’innesta un altro argomento tabù.

Se il settore pubblico è davvero troppo pesante, ci vorrebbe il coraggio di tagliare sia da un punto di vista del salario che della numerosità. Queste manovre (entrambe) sono state fatte dal Governo socialista di Zapatero poco prima delle elezioni, ma in Italia non sembrano possibili nonostante in carica vi sia un governo tecnico.

È evidente che il problema della competitività italiana non sta tanto nel numero di ore lavorate, quanto in tutti quei freni che bloccano lo sviluppo delle forze di mercato che possono far vincere il merito.