“Per il lavoro e la solidarietà contro l’austerità”: è questo lo slogan dello sciopero europeo proclamato per oggi dalla Cgil. Manifestazioni e disagi, quindi, questa volta non toccheranno solo Roma, ma, contemporaneamente, anche Bucarest, Praga, Stoccolma, Madrid, Lisbona, Atene e tante altre città europee. Se per caso siete a Bruxelles cercate di non perdervi la consegna del premio Nobel per l’austerità a J. M. Barroso, Presidente della Commissione europea. A Stoccarda, altresì, si consiglia di partecipare all’immancabile concerto di artisti di strada.



La Confederazione europea dei sindacati (Ces) scende, quindi, nelle piazze di tutta Europa per ricordare che a pagare a caro prezzo i costi della crisi, e delle conseguenti politiche di austerità, sono, prima di tutto, i lavoratori e le lavoratrici, mentre “il mondo della finanza e gli speculatori continuano a prosperare”. Si chiede, insomma, un deciso cambio di rotta per ridare impulso al lavoro e per ristabilire la giustizia sociale e la solidarietà tra le persone e le nazioni (Germania docet). Solo scommettendo, infatti, sulla capacità di ricostruire un sentimento di vera e reciproca fiducia tra cittadini europei, secondo la Ces, sarà possibile lottare efficacemente contro lo smantellamento dello Stato sociale, la flessibilità del mercato del lavoro, la privatizzazione dei servizi pubblici, la pressione sul ribasso dei salari e la diminuzione delle pensioni.



La sola austerità, infatti, secondo la Confederazione europea dei sindacati, ha portato unicamente il blocco della crescita e una disoccupazione in continuo aumento. In questo contesto i tagli ai salari e alle misure e politiche di protezione sociale sono pesanti attacchi allo stesso modello sociale europeo, almeno come lo abbiamo conosciuto finora, e aggravano, altresì, disuguaglianze e ingiustizia sociale. Si bocciano, insomma, senza mezzi termini le politiche del Fmi e della troika che dovrebbero, secondo gli organizzatori della manifestazione, solamente chiedere scusa per i gravi “errori di valutazione” che ci hanno portato dentro la più grave crisi economica, politica e sociale dal secondo dopoguerra.



I fatti stanno, in qualche maniera, sconfessando le tesi e le politiche più marcatamente rigoriste. La Cgil, insieme a tutti gli altri sindacati dei diversi stati membri aderenti alla Ces, chiede insomma la stipula di un “nuovo patto” sociale europeo. Il debito dell’Europa, infatti, non è solo economico e finanziario, ma, prima di tutto, sociale. Sono ben 25 milioni gli europei che non hanno lavoro e in alcuni paesi il tasso di disoccupazione giovanile arriva a oltrepassare il 50%. Una piaga, questa, che colpisce specialmente i paesi mediterranei.

La disoccupazione giovanile, che a Cipro raggiunge il 27%, in Grecia il 55,6%, in Italia il 35%, in Spagna il 54% e in Portogallo il 37,4%, ha toccato livelli inaccettabili. La situazione è ancora peggiore per le donne, i migranti e per gli altri gruppi soggetti a potenziali azioni di discriminazione nel mercato del lavoro. In questo quadro i giovani che riescono a trovare lavoro sono spesso precari e privi di una solida protezione sociale. Si pensi, a titolo meramente esemplificativo, all’eccessivo ricorso ai contratti a tempo determinato e all’uso fraudolento degli stage.

Si deve, tuttavia, sottolineare come la scelta dell’austerity sia stata, in maniera quasi paradossale, una non-scelta per paesi come il nostro che, ahimè, si portano sulle spalle un debito pubblico insostenibile e, per molti aspetti, inaccettabile. La sfida di oggi è quindi quella di saper andare oltre un semplice e populistico “no al rigore”. La scommessa per le classi dirigenti europee è infatti quella di saper trovare il giusto mix tra sostenibilità del bilancio pubblico e necessità di promuovere politiche per la crescita e lo sviluppo economico, secondo quelle indicazioni contenute nella strategia di Europa 2020.

Tutto ciò premesso, le manifestazioni di oggi ci aiutano a ricordare come, sempre più, la soluzione ai nostri problemi non sia da ricercare a livello nazionale ma si trovi, inevitabilmente, nella dimensione comunitaria. In questo senso, la scelta operata dalla Ces di proclamare uno sciopero “europeo” è certamente da apprezzare.

Prendere coscienza che è necessario mettere al centro delle decisioni che riguardano il nostro futuro l’Europa, però, non può e non deve trasformarsi in un europeismo solo di maniera. Questo processo necessita, infatti, che nel Paese si promuova e si sviluppi una profonda e seria riflessione sulle ragioni profonde che, ormai molti anni fa, fecero fare all’Italia la scelta coraggiosa e lungimirante di scommettere sull’Unione europea.

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