Chissà se questo 14 novembre servirà a far comprendere qualche cosa ai sedicenti governanti dell’Europa e dei singoli Paesi che aderiscono all’Unione europea. Si può solo riassumere a grandi linee la mappa della protesta popolare che ha investito, stando ai primi dati, 23 Paesi dell’Europa a 27. E se si considera la portata degli scontri, sarà difficile fare un bilancio esatto degli incidenti e delle violenze, che sono sempre ingiustificabili e da condannare. Il “vecchio” segretario della Cgil, Sergio Cofferati, è oggi un eurodeputato del Pd e ha partecipato alla manifestazione indetta dalla Confederazione europea dei sindacati (Ces), che, probabilmente, non pensava di avere una simile risposta proclamando una giornata di protesta “per il lavoro e la solidarietà” contro la politica di austerità imposta dall’Europa e dalla cecità dei singoli Stati.
Cofferati fa una premessa di fronte agli incidenti gravi che stanno avvenendo in tutta Europa: «Voglio premettere che qualsiasi violenza non è giustificabile ed è da condannare. E io mi associo in prima persona a questa condanna. Ma non si può neppure ignorare che da questa protesta si vede nitidamente lo stato di malessere, di disagio, di autentica sofferenza in cui sono sprofondati i popoli europei, una grande parte della popolazione europea. Personalmente, io non ricordo una simile mobilitazione in tutta Europa, una simile trasversalità di partecipazione. E vorrei aggiungere una cosa. Che la protesta che si fa nelle strade e nelle piazze è solo una parte del disagio che esiste. Io sono anche spaventato, preoccupato, da quelli che restano nelle loro case, che non partecipano, che non vanno più a votare, che sono rassegnati e covano rabbia e rancore».
Si parla di “infiltrati”, di estremisti che si sono inseriti nei cortei di quelli che protestavano in tutta Europa. Ma la protesta è talmente ampia che difficilmente può essere ricondotta ad azioni di gruppi estremisti.
Ripeto ancora che ogni violenza è ingiustificata, ma per misurare il malessere oggi esistente basta guardare i dati economici, i cosiddetti indicatori economici. In più, con la signora Angela Merkel che, “voce dal sen fuggita”, ha detto che questa crisi durerà ancora cinque anni (affermazione che si è poi rimangiata o ha corretto nel giro di poche ore) che cosa deve aspettarsi un cittadino europeo ? Il vero problema sono i dati economici, che restano e spiegano che tutti i paesi vanno con un segno meno davanti al loro Pil, che c’è un aumento della disoccupazione, soprattutto quella giovanile, che c’è un autentico aumento della povertà, che ci sono famiglie che sono scivolate sull’orlo della soglia di povertà. A volte, mi sembra che non se ne rendano conto, che nemmeno la lungimiranza, tra virgolette, dei professori, se ne stia rendendo conto, continuando con questa politica di rigore cieco, di rigore assoluto.
Si può dire che con questo 14 novembre 2012 è esplosa in tutta Europa la “questione sociale”?
Sì, è proprio così. La “questione sociale” che covava da mesi, nel profondo delle società europee, è esplosa, è venuta a galla e forse non del tutto completamente. Per questo, come dicevo, sono colpito dalla vastità della protesta, ma sono anche preoccupato per quelli che non partecipando, si rinchiudono in se stessi, cercando di tirare avanti con rabbia, con risentimento, con completa mancanza di fiducia, con una totale disaffezione.
Di fronte a questa politica di rigore, anche in Italia si va avanti con fatica e la stessa famiglia, che è stato per anni un ammortizzatore sociale per eccellenza, si trova in difficoltà.
Basta fare i conti e guardare i dati economici. Quante sono oggi le famiglie che hanno un padre senza lavoro, una madre che cerca di fare andare avanti la casa, un nonno, magari con la pensione diminuita, e i figli da mandare a scuola, da mantenere? Ma questa è la realtà della vita di oggi, quella che esce guardando appunto gli indicatori economici. E qui si continua a fare una politica di rigore fiscale e di rigore monetario allo stesso tempo e non si investe in nulla.
C’è pure la sensazione, esaminando la vastità della protesta europea, che gran parte della popolazione si vede colpita in prima persona, senza che si arrivi veramente ai grandi santuari della ricchezza.
Questo è un altro fatto che sta emergendo con tutta chiarezza. Qui il peso della crisi e delle misure di austerità sta colpendo i lavoratori, i dipendenti, i pensionati, le imprese. Si colpiscono tutti i redditi visibili, ma alla vera ricchezza non si è ancora arrivati. Si colpiscono quelli che sono tanti, perché sono facilmente rintracciabili, visibili appunto. Ma alla vera ricchezza non si è affatto arrivati, perché la vera ricchezza, in queste condizioni, ha tanti mezzi per sfuggire a qualsiasi controllo. Ed è inutile fare i grandi raid a Cortina d’Ampezzo, o altrove, per mostrare un po’ di deterrenza. Quello è solamente fumo negli occhi.
C’è ancora chi ogni tanto fa cenno alla “seconda fase”, a quella che dovrebbe essere una politica di crescita. C’è addirittura chi sostiene che si possono fare le riforme solo attraverso il calo dei consumi e una fase di recessione, in attesa di una crescita che dovrebbe avvenire attraverso la ripresa di un’ipotetica domanda mondiale. Ma se i risultati, relativi al Pil, alla disoccupazione, al debito. al crollo dei consumi, sono tutti negativi, non sarebbe forse meglio tentare almeno un vecchio programma di stampo keynesiano?
Personalmente sono molto attento alla necessità di guardare attentamente i conti pubblici, alla necessità di tenerli bene in linea. Ma il minimo che in questo momento si deve fare è proprio il tentativo di un intervento keynesiano. In questo modo, con il rigore cieco, dove si va a finire? C’è qualcuno che comprende che si può governare solo con il consenso sociale e non solo ridefinendo continuamente i conti dei bilanci? Forse, proprio dopo una giornata come questa, c’è bisogno che qualcuno cominci a svegliarsi.
(Gianluigi Da Rold)