La vicenda è ormai nota. Nell’ambito del processo d’attuazione della spending review, il ministro della Funzione pubblica, Filippo Patroni Griffi, aveva annunciato via Twitter che gli esuberi erano 4.028 (più 487 dirigenti più 2mila eccedenze comunicate in seguito). Un modo poco ortodosso di mettere gli impiegati statali sulla graticola. Che, i sindacati, non hanno mancato di denunciare. Anche perché, al di là dei metodi assunti, è il provvedimento in sé che è profondamente sbagliato. Michele Gentile, coordinatore del dipartimento della Funzione pubblica della Cgil, spiega a ilSussidiario.net perché. «Non è stato un modo molto elegante. Ma cosa devo dirle? Alle nostre proteste è stato replicato che anche Obama aveva comunicato via Twitter la propria rielezione… va da sé che siamo di fronte a un sistema di relazioni sindacali pressoché inesistente. Non è un caso che, nella riunione con le Parti sociali in cui si è discusso degli esuberi, il ministro abbia esordito spiegandoci che si trattava di una mera informativa». Praticamente, un favore non dovuto. «Si è sentito in diritto, evidentemente,  trattandosi di mera comunicazione, di dare un annuncio del genere via Twitter. Senza pensare agli effetti che avrebbe prodotto. Tanto più che si tratta di cifre parziali e indefinite». Il problema, fa presente Gentile, è che a oggi non è chiaro il criterio con il quale le pubbliche amministrazioni hanno proceduto per stabilire il numero di personale in eccesso. «Dietro quei numeri non c’è alcuna oggettività, ma scelte assunte a priori dal ministero. Oltretutto, uno tra i pochi criteri che erano stati fissati non è stato rispettato. Si era stabilito, infatti, che i tagli riguardassero il 20% dei dirigenti e il 10% degli impiegati, ma tali percentuali sono state stravolte». Secondo i calcoli del sindacato, non è poi stato minimamente preso in considerazione il fatto che ci sono altre circa 40mila persone che rischiano il posto. «Contestualmente, alla riduzione dei posti, si affianca, secondo una norma approvata dal precedente governo, il taglio del 50% delle spese volte a sostenere i contratti che non siano a tempo indeterminato. Secondo la Ragioneria dello Stato, nelle pubbliche amministrazioni ci sono, escludendo la scuola, poco meno di 90mila persone con contratti a tempo determinato. Se i contratti di metà di queste persone non saranno rinnovati, vuole dire che ci saranno decine di migliaia di disoccupati in più».



E’ opinione comune che, a fronte di un danno significativo che molte persone dovranno subire, si determineranno vantaggi irrisori. «Effettivamente, si produrrà un risparmio decisamente limitato mentre, tagliando posti di lavoro, si ridurranno le possibilità occupazionali per il futuro. Non si colpiranno gli sprechi e, non potendo assumere nuovo personale giovane e preparato, sarà altresì impossibile realizzare innovazioni. Il che, determinerà un incremento dei costi». 



Tagliare altrove sarebbe stato possibile a doveroso. «Ancora non è stato messo mano al sistema spesso tutt’altro che lineare degli appalti pubblici  e a quello delle consulenze. Né, tantomeno, alla duplicazione di quelle numerosissime strutture, presenti a ogni livello, che si occupano delle stesse identiche questioni. Un semplice processo di riorganizzazione della macchina amministrativa, volto a tagliare gli sprechi effettivi, avrebbe consentito di risparmiare 6-7 miliardi di euro senza per questo inficiare la bontà dei servizi per i cittadini». 



 

(Paolo Nessi)

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