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Affrontare il tema dei giovani, mentre si parla tanto – e non sempre a proposito – di produttività, è, oggi più che mai, essenziale. Nel nostro Paese, dove una sorta di paralisi storica ha condotto la maggior parte delle persone a fossilizzarsi più sull’idea del posto di lavoro fisso a tutti i costi – inalienabile a prescindere dai risultati – che sul problema del valore prodotto dal lavoro, il basso livello di produttività, ahimè, è ormai diventato un fattore endemico, quasi una malattia del nostro Sistema Paese.
Non solo: l’aumento della produttività viene correlato pressoché esclusivamente alla riduzione dei costi, quindi nel modo di concepirla si finisce per pensare solo alla riduzione del denominatore, anziché a come far crescere il numeratore, in grado di generare maggiore valore dal lavoro. Invece, se il Governo vuole davvero dare luogo a un progetto di sviluppo che agisca non solo nel breve ma anche nel medio-lungo termine, è necessario che investa sulla generazione di valore e, dunque, sui giovani.
Ma perché proprio sui giovani? In primis perché la loro maggiore duttilità consente più facilmente di condurli ad assumere compiti professionali necessari al mercato e imprescindibili se vogliamo generare valore nelle imprese e ridurre il mismatching tra domanda e offerta di lavoro presente nel nostro Paese. Secondariamente perché è possibile orientarli, già attraverso un valido percorso scolastico e professionale, ad acquisire competenze nuove; operazione, questa, certamente meno immediata nel caso di chi è più avanti nel proprio percorso lavorativo, nella propria storia personale. In quest’ottica, diversi potrebbero essere gli interventi da considerare, subito come in futuro: uno di questi è certamente un utilizzo più massiccio dell’apprendistato.
Oggi, infatti, l’apprendistato andrebbe finalmente veicolato e diffuso, così come andrebbero fatti meglio comprendere gli effetti positivi delle recenti normative, che ne hanno indubbiamente semplificato l’utilizzo e lo hanno reso disponibile anche attraverso il contratto di somministrazione. Certo, se il Governo volesse varare nuove misure mirate ad accrescere la produttività del sistema, potrebbe addirittura pensare ad ulteriori incentivi – anche solo temporanei – per far decollare l’utilizzo di questo prezioso strumento. Come?
Ad esempio, abbattendo il contributo del 10% che ancora grava per le aziende sopra i 10 dipendenti, così da ridurre il costo dell’utilizzo dell’apprendistato e dare nuovo e chiaro impulso al suo impiego per i giovani. In realtà, l’impianto legislativo è già pronto: sarebbero sufficienti, per la sua entrata in vigore, alcune circolari applicative da parte del Ministero e dell’Inps.
Inoltre, e questo è già in parte attuabile per le aziende, si potrebbe indicare con maggior chiarezza agli imprenditori che è possibile far ricorso all’articolo 8 per utilizzare modalità retributive in deroga a quelle previste per i contratti di apprendistato, ancora troppo onerose per le imprese. Così come sarebbe molto utile consentire di prendere come riferimento per tutti il settore delle professioni, che permette una riduzione di costi, facendo arrivare quello dell’apprendistato al 60% della retribuzione di destinazione normale.
Così facendo, si aprirebbe un’importante strada che le aziende virtuose potrebbero validamente percorrere, scambiando una buona formazione con un necessario risparmio economico e costruendo un apprendistato ben progettato sulle proprie necessità. Il che, a sua volta, porterebbe anche a una diminuzione del numero di stage a fronte di una veloce crescita dell’utilizzo dei contratti di apprendistato che possono condurre, in 3 o 4 anni, ad assunzioni a tempo indeterminato.
Infine, va considerato che, avendo la riforma delle pensioni improvvisamente allungato l’età pensionabile, il fisiologico turnover tra giovani e anziani ha inevitabilmente subìto un brusco rallentamento, portando a una drastica riduzione delle opportunità di impiego giovanile. Per attenuare questo problema servirebbero nuove modalità, come, ad esempio, l’attribuzione di un impiego part time per i “pensionandi” a fronte dell’assunzione di giovani in apprendistato. I più anziani potrebbero così, utilmente, svolgere anche attività di coaching per i più giovani e le imprese potrebbero trarne giovamento per la propria produttività, a patto che lo Stato si faccia carico dei contributi figurativi per il raggiungimento della pensione.
Attraverso queste iniziative si potrebbero dunque creare spazi per i giovani: utilizzando l’apprendistato si potrebbe lavorare non solo in chiave di breve termine, ma, svolgendo un’adeguata formazione, costruire quelle competenze così necessarie al futuro della loro impiegabilità e del nostro Sistema-Paese.
Tutto ciò potrebbe già essere sufficiente a farci percepire la convenienza di tali provvedimenti. Certo, però, che decidere di lavorare oggi per un bene che si realizzerà anche e soprattutto nel futuro, richiede di andare oltre quella rassegnazione cinica che orienta i comportamenti verso una logica di sfruttamento immediato di ciò che c’è, per dirigersi verso un’esperienza di certezza; la certezza, cioè, che attraverso il nostro lavoro sia ancora possibile costruire un mondo migliore per i nostri figli.