A tarda mattinata arriva una notizia che mette in ansia per quanto riguarda l’occupazione, soprattutto nel Mezzogiorno d’Italia. In più, la notizia ha contorni strani, che fanno pensare al peggio per quanto riguarda il futuro di una grande acciaieria che in questi mesi è stata messa sotto la lente di ingrandimento della magistratura. Stiamo parlando dell’Ilva di Taranto, dove è intervenuta direttamente la magistratura per decretare la chiusura dell’altoforno 5. L’autorizzazione integrata ambientale prevede che il più grande altoforno del siderurgico si fermi a luglio del 2014. Ora, l’azienda, nel corso di una riunione con i sindacati ha comunicato che chiederà la cassa integrazione ordinaria per ben duemila lavoratori. La cifra è alta, considerando pure che i dipendenti complessivi dell’Ilva di Taranto sono all’incirca 13mila, di cui più di undicimila addetti alla produzione dell’acciaio. Stando a quanto è stato comunicato, la cassa integrazione ordinaria riguarderebbe alcuni impianti: il tubificio longitudinale 1 e 2, il treno lamiere, il treno nastri 1, le officine, i servizi e il laminatoio a freddo.
L’azienda ha intenzione di aprire la procedura di cassa integrazione tra due settimane circa, a partire dal 19 novembre. Qualunque significato possa assumere questa richiesta, è un indubbiamente un altro colpo per l’Ilva. La domanda che tutti al momento si chiedono è se questa richiesta, questa procedura di cassa integrazione ordinaria, sia da mettere in relazione ai provvedimenti della magistratura, oppure se è semplicemente legata alla crisi dell’acciaio, alla caduta della domanda in questo settore. Maurizio Del Conte è docente di Diritto del Lavoro all’Università Bocconi di Milano, è uno dei maggiori giuslavoristi italiani, e cerca di commentare la notizia non avendo ancora un quadro complessivo ed esauriente della situazione: «Se la richiesta che viene formalizzata è quella di cassa integrazione ordinaria, vuole dire che l’azienda deve presentare delle carte precise per questo passo e quindi per il successivo ritorno all’attività normale. Certo, poi , molte volte, le aziende mischiano anche le loro carte. Ma in questo caso dovrebbe essere previsto il riassorbimento dei lavoratori che vengono messi in cassa integrazione».
Quindi poterebbe trattarsi di un problema congiunturale, di un passaggio di crisi nella produzione dell’acciaio.
Dovrebbe trattarsi di questo, anche se comprendo benissimo che in un momento come questo, con quello che sta attraversando l’Ilva di Taranto, i pensieri cattivi arrivano subito. Con tutto quello che è avvenuto, con l’intervento della magistratura è inevitabile pensare a qualche cosa di più consistente, ma non ho elementi di conoscenza per sapere, per conoscere esattamente la situazione.
Non le sembrano molti duemila operai per una cassa integrazione ordinaria, così come la portata complessiva degli impianti coinvolti in una temporanea sospensione dell’attività?
Indubbiamente il numero è grande ed è abbastanza impressionante. Non c’è dubbio che si possa immaginare a questo tipo di provvedimento, di passaggio come all’anticamera di qualche cosa di più grave per quanto riguarda i livelli di occupazione.
Restiamo quindi al comunicato, sperando che sia salvato il livello occupazionale dell’azienda, con tutti i problemi che al momento si trova di fronte.
Per chiedere la cassa integrazione bisogna sempre presentare un piano industriale, quindi non si possono immaginare cose che al momento non conosciamo perfettamente. I sindacati probabilmente si saranno fatti già un’idea più precisa, avranno alcuni elementi per comprendere meglio la situazione dell’Ilva. Certamente la crisi colpisce e l’acciaio è un settore in crisi. Ma indubbiamente, quando si parla dell’Ilva di Taranto, in un momento come questo, con la richiesta di cassa integrazione dopo tutto quello che è accaduto, l’apprensione aumenta.
(Gianluigi Da Rold)