Ciò che si temeva sta accadendo. Nel mentre il premier Monti sottolinea, in ogni occasione, la solidità del nostro “sistema Paese”, i suoi “tecnici”, spalleggiati dai tecnici ministeriali, sembrano del tutto ignari o indifferenti alle vere priorità che dovrebbero supportare il governo del sistema.

Se da un lato, ad esempio, tutti sottolineano come l’Italia sia il secondo Paese manifatturiero dell’Unione europea, dopo la Germania, con una filiera formativa non del tutto in sintonia con il “Paese reale”, per pregiudiziali storico-culturali che continuano a favorire i percorsi liceali rispetto ai tecnico-professionali, dall’altro a Viale Trastevere, cioè nel cuore del governo dell’istruzione, sembrano ignorare la vera emergenza del nostro Paese, cioè la domanda di “occupabilità dei titoli di studio”.



Conseguenza? Nel testo del Regolamento, previsto dalla Spending Review, con il quale si dovrebbero ridurre le Direzioni Generali del Miur, da 12 a 10, a farne le spese sembra essere, guarda caso, proprio la Direzione per l’istruzione e la formazione tecnica superiore. Cioè la Direzione che, in questi ultimi dieci anni, ha dimostrato la maggiore apertura verso una gestione non meramente burocratico-procedurale degli indirizzi di governo, avviando una serie di iniziative che hanno fatto da traino per il “riordino” di tutti gli indirizzi scolastici, compresa la novità degli Its, oltre al raccordo con le Regioni per la formazione professionale.



Pochi organi di stampa hanno avvertito il rischio della cancellazione della Direzione tecnica. Oltre a il Sole 24 Ore, è da segnalare il Sussidiario, con un pregevole pezzo firmato da Max Ferrario. Credo che valga la pena, vista l’importanza della decisione del governo, riprendere nuovamente la questione. Perché tra pochi giorni questo Regolamento, come Dpcm, andrà in Consiglio dei Ministri. Forse nella seduta del 10 novembre.

Si tratta, dunque, di insistere, richiamando tutti gli attori istituzionali e socio-economici a fare squadra, per fermare una decisione che rischia di riportare nelle retrovie dei pensieri ministeriali, non sempre attenti al “mondo reale”, la domanda di cultura tecnica ancora forte nel Paese, nonostante la crisi. È fondamentale, in poche parole, che permanga una sorta di coordinamento ministeriale della formazione tecnica, sapendo bene, inoltre, che l’unica vera novità di questi anni, in termini di offerta formativa, è rappresentata dagli Its, cioè dalle scuole di alta formazione tecnica, biennale, post-diploma. Una responsabilità, come si vede, di filiera, confermata dalla recente approvazione delle Linee Guida sulla costituzione dei Poli tecnico-professionali e sugli stessi Its.



Non è possibile, cioè, rinunciare al ruolo di supporto e di interfaccia del nostro tessuto economico centrato sul manifatturiero. Ma in primis, si tratta di contribuire al superamento delle pregiudiziali che ancora oggi tengono lontani tanti giovani in gamba dalla scelta della formazione tecnica, quella formazione, ce lo possiamo dire, che è stata alla base del grande sviluppo delle piccole e medie aziende negli ultimi 50 anni, la vera ossatura del nostro sistema economico. Ancora oggi, nonostante la crisi generale, in grado di offrire reali opportunità di lavoro a migliaia di giovani. Non si tratta, dunque, di difendere una poltrona ministeriale, ma di mantenere il presidio di una sensibilità formativa che è al tempo stesso umanistica e professionalizzante. Frutto del ripensamento del nesso mente-mano.

Ma una domanda sorge, a questo punto, “spontanea”: perché la cultura tecnica deve sempre faticare per farsi riconoscere nella sua pari dignità? Ricordo, ad esempio, che fu un Convegno organizzato dalla Confindustria veneta nel 2004 a Vicenza che indusse Letizia Moratti, allora ministro, a rimettere nel cassetto l’ipotesi degli otto licei, tra i quali quello tecnologico e l’altro economico. Perché l’originalità italiana, cioè gli Itis, va riconosciuta per il suo ruolo di volano del nostro tessuto socio-economico, e non ricondotta entro schemi artificiali e lontani dalle reali esigenze del mondo del lavoro.

Ma ricordo anche che è stata la richiesta di innovazione ordinamentale della formazione tecnica che spinse il ministro Fioroni a istituire nel 2007 la Commissione De Toni, confermata dalla Gelmini nel 2008, e cuore del recente “riordino”, poi esteso anche agli altri indirizzi scolastici. Pari dignità, dunque, e riconoscimento di una originalità che richiede chiarezza d’intenti, sguardo di prospettiva, adeguata sostanza culturale.

Quando presento, ad esempio, in pubblico queste riflessioni, mi piace, in conclusione, richiamare tre grandi italiani, paradigmi della cultura universale. Dante, Galilei e Leonardo. En passant, suggerisco sempre, per comprendere lo sfondo culturale di un ripensamento del tema del “lavoro”, la lettura di un prezioso volume: C. Gentili, Umanesimo tecnologico e istruzione tecnica, edito da Armando nel 2007.

In poche parole: Dante, cioè la cultura umanistica, Galilei, cioè la cultura scientifica, e Leonardo, cioè la cultura tecnico-professionale. Non una galleria che prefiguri una classifica di merito, ma modi diversi di tradurre la “domanda di senso”, cioè lo sfondo umanistico del nostro quotidiano vivere attraverso il “lavoro”, cioè una domanda di vita che si realizza, nella unitarietà e integralità del nostro essere, come destino personale e sociale.