Bmw group lancia il progetto demografico “Oggi per domani”. Una risposta all’invecchiamento della popolazione, e quindi un tentativo di migliorare la vivibilità in azienda per i dipendenti che hanno superato i 50 anni. Il principale obiettivo sarà quello di mantenere la salute e le performance della forza lavoro. Anche perché l’efficacia del dipendente non diminuisce necessariamente con il progredire dell’età. Ilsussidiario.net ha intervistato Luca Solari, professore di Organizzazione aziendale all’Università degli Studi di Milano.
Ritiene che il progetto di Bmw possa avere ricadute positive?
Il tema della forza lavoro che invecchia di recente è molto discusso dalle direzioni risorse umane in Europa. I dati citati da Bmw si applicano a buona parte delle imprese. C’è una coorte di baby-boomers che è rimasta a lungo nell’organizzazione e che ha acquisito delle competenze specifiche legate al fatto di conoscere molto bene i processi lavorativi, e quindi ha livelli di produttività più elevati. La domanda che tutti si stanno ponendo è come mantenere il più a lungo possibile il vantaggio di queste competenze nel contesto organizzativo. Ma d’altra parte un interrogativo altrettanto importante, e che si vede meno nel progetto di Bmw, è come sia possibile attivare un processo di trasferimento delle conoscenze verso persone entrate da poco in azienda.
Non basta quindi pensare ai dipendenti over 50, ma occorre anche migliorare le competenze dei più giovani…
Sì. Pur essendo certamente positiva l’educazione a un corretto utilizzo del proprio corpo, a oggi nessuna organizzazione ha ancora scoperto il segreto dell’immortalità. Quindi in parallelo occorrono anche processi che facilitino il trasferimento di informazioni, attraverso programmi di mentorship, in cui si affianchino persone con esperienza e competenze ad altre più giovani per attivare il processo di trasferimento delle informazioni. Dal momento che le prestazioni e la qualità della vita di over 50 e over 60 si possono migliorare a lungo, ma non per sempre, devono anche essere lanciati processi di avvicendamento programmato e pianificato.
Ritmi di lavoro particolarmente stressanti possono rendere più precoce l’invecchiamento del lavoratore?
E’ così, e grazie al progetto di Bmw si fa finalmente strada un’analisi ergonomica più approfondita per quanto riguarda il lavoro. Quest’ultima del resto è stata un tema centrale nello stabilimento Fiat di Pomigliano. Il processo di produzione è stato modificato proprio perché gli indicatori di performance ergonomica erano considerati in modo negativo a livello delle valutazioni europee. Il problema principale in quel caso era lo stress muscolo-scheletrico.
E’ soltanto un problema di Pomigliano?
Si tratta di temi che stanno tornando di prepotente attualità un po’ ovunque, perché ci si sta rendendo conto che il lavoro da un lato ha un grande valore, ma dall’altro ha conseguenze di natura psico-fisica non sempre positive. Ho trovato interessante che Bmw abbia individuato tra i ruoli dei manager anche quello di stare attenti a evitare la richiesta di prestazioni eccessive. Il riconoscimento delle conseguenze potenzialmente logoranti dal punto di vista muscolo-scheletrico, ma anche psicologico, è un elemento centrale. La costrizione tecnologica nei processi di produzione ha tuttora degli effetti negativi sulle persone.
Quali sono i principali problemi psicologici legati al lavoro?
Innanzitutto la ripetitività, ma anche i ritmi troppo pesanti e la mancanza di significato del lavoro, cioè il fatto di svolgere un’attività senza capirne il rapporto con il resto. Per non parlare delle percezioni di controllo ossessivo da parte del superiore gerarchico sul dipendente, che non consentono a quest’ultimo di vivere liberamente il rapporto con il suo lavoro in un contesto fisiologico di sviluppo come persona. Ma possono anche esservi condizioni organizzative legate ai sistemi di valutazione, o al modello di gestione del capo che di fatto è disfunzionale.
Se a uno non piace come è organizzato il suo lavoro, perché non lo cambia?
Questa è la classica risposta banalizzante che si dà in queste circostanze. Ed è tipica di chi mette la testa sotto la sabbia, perché da un lato non è poi così facile cambiare lavoro, almeno nel contesto del mercato italiano. Non si capisce inoltre perché un luogo organizzativo come un’azienda debba essere pensato e progettato senza chiedersi quali ricadute ha sulle persone.
(Pietro Vernizzi)