Capita spesso che un lavoratore, nel corso della propria vita, cambi lavoro. O che, pur mantenendo lo stesso, veda cambiare la ragione sociale della propria azienda. Non di rado, cambi fittizi, che trasformano un’impresa pubblica in una di diritto privato. Ma solo formalmente. In tutti questi casi, il cittadino si trova a versare i contributi previdenziali, nell’arco della propria carriera lavorativa, a istituti diversi. Fino a due anni fa, trovandosi in procinto di accedere al regime previdenziale, era prassi ricongiungere i contributi delle varie gestioni nell’Inps, sul sito del quale si legge: “La ricongiunzione dei contributi è quell’istituto che permette, a chi ha posizioni assicurative in gestioni previdenziali diverse, di riunire, mediante trasferimento, tutti i periodi contributivi presso un’unica gestione, allo scopo di ottenere una sola pensione“. Peccato che, dal 2010, l’operazione sia diventata parecchio costosa. In certi casi, l’esborso può arrivare fino a più di 100mila euro. Di recente, l’onorevole Giuliano Cazzola aveva tentato di porre rimedio alla questione presentando, nell’ambito della legge di stabilità, un emendamento. Che, purtroppo, è stato bocciato dalla commissione Bilancio. IlSussidiario.net ha chiesto a Luca Spataro, docente di Economia politica presso l’Università degli studi di Pisa ed esperto di diritto del lavoro, di fare il punto sulla situazione. «In generale, a livello teorico – spiega – in un sistema previdenziale contributivo, con un ente previdenziale unico, i ricongiungimenti non dovrebbero essere onerosi, perché il montante pensionistico sarebbe pari al valore attuale di tutti flussi previdenziali di cui un individuo godrà. Non ci sarebbero regali. Anche nel caso di una pluralità di gestioni, a parità di regole, il ricongiungimento non dovrebbe essere oneroso. Tutti i contributi versati dovrebbero essere contabilizzati al fine del calcolo pensionistico». Ma la realtà è diversa dalla situazione ideale. «Il problema che si è verificato in questi anni consiste nel fatto che le regole del calcolo delle pensioni erano diversificate da settore a settore. Cosa che ha prodotto disparità di trattamento a seconda del fatto che uno si spostasse da un fondo all’altro». Così, fa presente Spataro, con la legge 122 del 2010 si è prevista l’onerosità della ricongiunzione dei contributi per alcune categorie di lavoratori. «In sostanza, si è cercato di armonizzare le regole. In seguito, la riforma Fornero ha esteso la ricongiunzione, mantenendo l’onerosità – che è tanto maggiore quanto più si avvicina l’età del pensionamento -, onde evitare che una persona potesse beneficiare, nel passaggio da una gestione all’altra, di regole maggiormente favorevoli».



Rispetto all’onerosità, resta l’opzione della totalizzazione dei contributi: «In sostanza, ciascun lavoratore può chiedere la totalizzazione dei contributi versati nei vari fondi e nelle varie gestioni. La riforma della Fornero prevede la gratuità, ma anche che si possa accedere all’opzione accettando l’applicazione su tutto il montante pensionistico del metodo contributivo». 



Per Spataro, si tratta della soluzione più equa. «Credo che sia ragionevole prevedere l’abolizione della ricongiunzione onerosa, ma, contestualmente, la totalizzazione con il metodo contributivo. Tale sistema non farebbe altro che restituire ai lavoratori i contributi versati, ovviamente rivalutati al tasso di rendimento delle pensioni pubbliche. Non ci sarebbe alcuna lesione dei diritti, quanto, casomai, la rimozione di determinati privilegi di cui alcuni individui avevano goduto negli anni precedenti».  

 

(Paolo Nessi)

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