“E’ chiaro che l’occupazione soffre, è un dato ovviamente negativo ma atteso”. In questo modo il ministro dell’Economia, Vittorio Grilli, ha commentato i dati riguardanti la disoccupazione in Italia, sottolineando che “se l’economia rallenta non si può pensare che l’occupazione migliori. Anche nei nostri dati c’è un peggioramento nel 2013″. Le dichiarazioni di Grilli non fanno quindi che confermare la crisi nera del lavoro in Italia: superata la soglia dell’11%, nel mese di ottobre il tasso di disoccupazione ha raggiunto un livello che non si registrava dal quarto trimestre di vent’anni fa. Le persone senza un lavoro sono quasi 3 milioni, come anche coloro che vanno a comporre l’esercito dei precari, mentre la situazione si fa ancora più preoccupante per i giovani: secondo quanto rilevato dall’Istat, tra i 15-24enni le persone in cerca di lavoro sono 639 mila, vale a dire il 10,6% della popolazione in questa fascia d’età. Abbiamo commentato l’attuale situazione con Michele Tiraboschi, professore ordinario di Diritto del lavoro nonché Coordinatore del comitato scientifico di Adapt (Associazione per gli Studi Internazionali e Comparati sul Diritto del lavoro e sulle Relazioni industriali).



Professore, questi ultimi dati Istat la stupiscono?

No, questi dati non possono stupire visto il contesto internazionale e il costante peggioramento della crisi. E’ però un altro indicatore a sorprendere.

Quale?

Nei primi anni di crisi l’Italia aveva reagito piuttosto bene alla crisi e alle pressioni internazionali, comportandosi sostanzialmente come la Germania ed evitando di veder crescere la disoccupazione in maniera così elevata. La situazione è poi improvvisamente peggiorata dalla fine del 2011 a oggi.  



Come mai?

Perché l’Italia, con un sistema di ammortizzatori sociali molto simile a quello tedesco, ha potuto reagire molto bene alla crisi, ma solo all’inizio. Tale reazione non poteva che essere temporanea: se la crisi persiste e il Paese non mette in atto alcuna politica di crescita e sviluppo, come invece ha fatto proprio la Germania, allora è evidente che la resistenza oltre a un certo punto non può andare.

Quindi ha ragione la Camusso quando dice che il 2013 sarà anche peggiore dal punto di vista occupazionale?

Purtroppo sì. Quello che in Germania ha funzionato non è stata solo la strategia difensiva, ma anche un ottimo sistema di relazioni industriali, una contrattazione collettiva decentrata, logiche partecipative e una buona legislazione del lavoro. L’Italia, invece, nel pieno della crisi ha approvato una riforma del lavoro completamente sbagliata. E’ soprattutto per questo che la situazione peggiorerà.



A cosa porterà la riforma Fornero?

Porterà all’annullamento, tra la disoccupazione e il tempo indeterminato, di tutte quelle forme di lavoro temporaneo, a orario ridotto, modulato, flessibile e così via. La Fornero ha semplicemente distrutto tutto ciò che di buono potrebbe esistere tra il nulla e il contratto standard, il che irrigidisce ulteriormente il mercato e rende ancora più difficile trovare un’occupazione regolare.

Dopotutto anche lo stesso ministro Fornero aveva avvertito che la riforma avrebbe potuto incoraggiare il lavoro nero…

Esatto. Questo è un elemento oggettivo: più il legislatore impone modelli rigidi e più il mercato fatica ad adattarsi. Forse sarebbe stato opportuno rinviare questa riforma a una stagione di crescita e di sviluppo, visto che oggi come oggi non riesce assolutamente a intercettare segmenti di lavoro che pure ci sarebbero.

Per esempio?

Per esempio la Fornero, pur rilanciando sulla carta l’apprendistato, non ha accompagnato in alcun modo questo strumento, con la conseguenza che sono venute a mancare tutte quelle misure volte a fornire occupazione attraverso competenze e formazione. Inoltre, come se non bastasse, anche la pressione sulle aziende sta superando ogni soglia di resistenza.

Inoltre da gennaio le imprese nonpotranno più assumere sulla base delle regole previgente contenute nella riforma Biagi. Cosa comporterà questo?

Comporterà evidentemente un aumento dei costi dei contratti e un maggiore rischio di contenzioso e incertezza: di fronte a questo scenario è ovvio che le imprese rinunceranno ad assumere. E da qui si può fare anche una riflessione di tipo culturale.

Quale?

La riforma Fornero è riuscita incredibilmente ad annullare tutte le conquiste del decennio passato, come le leggi Treu e Biagi, rispetto alle quali l’idea di un contratto temporaneo regolare era comunque meglio della disoccupazione. Siamo tornati a un punto in cui sembra quasi che al posto di un contratto temporaneo sia meglio l’assenza di opportunità di occupazione. Questo è un gravissimo errore in un mercato come quello italiano, a cui invece servono numerosi strumenti intermedi tra l’inattività e a stabilità del tempo indeterminato.

Come giudica invece l’azione sindacale sotto questo punto di vista?

Oltre ai contenuti tecnici della riforma Fornero, dobbiamo registrare sul tema del lavoro e delle pensioni anche una posizione politica molto chiara del governo che ha sostanzialmente ritenuto inutile l’interlocuzione con il sindacato, di fatto delegittimandolo. Monti ritiene la concertazione un disvalore, un elemento negativo, e credo che il sindacato sia molto stordito e disorientato da questa logica.

Perché?

Perché a livello centrale, quello delle politiche governative che poi sono quelle che aiutano la crescita e lo sviluppo, il sindacato ha di fatto perso ogni potere di interdizione e di influenza sul governo. Il fatto che poi sia stato raggiunto un separato accordo sulla crescita è la conferma di quanto sto dicendo.  

Che cosa possiamo davvero immaginare per invertire questa preoccupante rotta?

Come è stato già ampiamente detto, soluzioni miracolose non esistono. Dicevo però che a livello internazionale è maturata una convinzione molto forte, sviluppatasi lentamente anche nel nostro Paese, secondo cui il problema principale sia la disoccupazione giovanile. Per questo motivo è ormai diffusa convinzione che l’apprendistato sia lo strumento da utilizzare: il problema, almeno in Italia, è che al di là degli annunci nessuno è realmente intervenuto per mettere in funzione tale strumento, quindi ci ritroviamo di fatto con una legislazione non ancora operativa.    

Come muoversi quindi?

L’apprendistato funziona bene se viene proposto a giovani e giovanissimi, per esempio nel momento in cui si stanno orientando nella scelta della scuola secondaria. In Germania l’80% di questi giovani ha meno di vent’anni, mentre da noi avviene esattamente il contrario: questo spiega tutto dell’apprendistato in Italia.  

Quindi anche il sistema formativo dovrebbe cambiare prospettiva?

Certo, il sistema formativo non può più lavorare nell’ottica dell’aula e delle ore di lezione. Quello che manca all’Italia è una vera tradizione di formazione di mestieri e competenze spendibili, quindi attenta agli esiti dei percorsi formativi. E’ questo il passaggio fondamentale che a mio giudizio è necessario compiere.  

 

(Claudio Perlini)

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