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Siamo agli sgoccioli del 2012: anno davvero intenso per tante ragioni e che verrà ricordato, tra le altre cose, anche per la Riforma Fornero. E in concomitanza con questa chiusura d’anno sta per terminare, un po’ rocambolescamente, anche l’esperienza dell’attuale Governo. In fase di bilanci, previsioni e buoni auspici, cosa chiedere, dunque, al nuovo anno e al futuro Governo?
Certamente che si prosegua sulle logiche della precedente Riforma, che si era posta l’obiettivo di ottenere una maggiore flessibilità in fase di uscita dal rapporto di lavoro insieme a una migliore flessibilità in entrata, riportando al centro dell’attenzione il contratto a tempo indeterminato inteso come la soluzione migliore per continuità e stabilità e cercando di individuare strade percorribili per rendere possibile l’ingresso e lo sviluppo professionale dei giovani nel mondo del lavoro.
Occorre proseguire dunque in questa direzione: ma compiendo alcuni sostanziali e ulteriori passi in avanti. Quali? Tra i tanti temi aperti – e oltremodo urgenti – figura anzitutto l’inserimento professionale, dove il contratto d’apprendistato ha il compito di diventare protagonista assoluto del mercato del lavoro, ma a patto che venga reso più conveniente e utilizzabile. Questo può avvenire in diversi modi: svincolandolo dai 3 anni di durata; riducendone il costo anche solo temporaneamente; azzerando il contributo del 10% per tutta la durata dell’apprendistato; riducendo la retribuzione minima; sviluppando un sistema analogo a quello tedesco per quanto riguarda il diritto-dovere, fondamentale per la crescita dei giovani.
Circa la flessibilità in entrata, dove già la Riforma Fornero aveva fatto chiarezza limitando l’uso di strumenti impropri e rafforzando l’utilizzo di quelli più adeguati allo scopo, va però delineata con decisione – come nel caso dell’apprendistato – una via maestra, uno strumento privilegiato, che non venga percepito come un male necessario, ma piuttosto come una soluzione conveniente e di facile applicazione. Nella fattispecie, questo strumento non può che essere il contratto di somministrazione attraverso l’Agenzia per il lavoro, capace di contemperare sia la necessaria sicurezza per il lavoratore che l’altrettanto decisiva flessibilità per l’azienda.
A questo scopo, diviene ancora più urgente da una parte semplificare la norma, abolendo le causali e il limite dei 36 mesi, dall’altra renderne più conveniente l’utilizzo, eliminando l’1,4% di extra contributo per l’Aspi, giustamente applicato ai contratti a tempo determinato ma ingiustamente penalizzante la somministrazione, che ha nel 4% accantonato per Formatemp uno strumento di flexicurity già avanzato e sufficientemente virtuoso per supportare l’impiegabilità dei lavoratori.
Quanto poi alla flessibilità in uscita, la Riforma Fornero ha sicuramente avuto il merito di rendere un po’ più numerose e percorribili le condizioni per gestire la fase di fine rapporto e di introdurre nella Legge cenni e raccomandazioni in appoggio alle politiche attive. Sarebbe, tuttavia, necessario chiarire ulteriormente le norme relative ai licenziamenti – in particolare quelli legati alla cattiva performance, tecnicamente denominati “giustificato motivo soggettivo dovuto a scarso rendimento” – e rendere, a maggior tutela del lavoratore, se non obbligatorio, almeno fortemente incentivato l’utilizzo da parte delle aziende dei servizi di ricollocazione professionale.
Restano, infine, totalmente aperti i cantieri delle politiche attive pubbliche e della definizione del repertorio delle professioni, che aspettano risposte tempestive e convincenti da parte del prossimo Governo. Ci troviamo, dunque, in una di quelle fasi in cui il passo successivo può risultare decisivo per intraprendere un percorso virtuoso o, al contrario, per completare una pericolosa “discesa agli inferi”. Poche idee chiare e il coraggio di implementarle con metodo e determinazione è ciò che chiediamo, come regalo speciale, al nuovo anno che sta arrivando.