La legge Biagi del 2003 ha rappresentato il tentativo delle principali culture riformiste del nostro Paese di offrire all’Italia una disciplina più moderna ed europea alle regole che governavano il nostro mercato del lavoro (definito ai tempi come il peggiore d’Europa). Alcune regioni ricorsero alla Corte Costituzionale ritenendo che tale intervento ledesse le proprie competenze in “tutela e sicurezza del lavoro” così come definite sulla base della nuova formulazione dell’art. 117 della Costituzione (ai sensi del testo novellato con la legge costituzionale 3/2001).
La suprema Corte confermò sostanzialmente l’impianto della legge. Uno dei pochi rilievi della regioni accolto dalla magistratura costituzionale fu quello relativo ai tirocini. Con la storica sentenza 50 del 2005 si ritenne che la disciplina di quest’istituto fosse, in quanto misura di politica attiva finalizzata all’orientamento e alla formazione, di competenza piena ed esclusiva delle amministrazioni regionali.
Si deve, tuttavia, sottolineare come, anche a valle della sentenza citata, solo poche regioni siano concretamente intervenute in materia con discipline autonome. È rimasto, quindi, così operativo (in maniera “cedevole”) per oltre 5 anni quanto previsto dal “Pacchetto Treu” del 1997. Solo negli ultimi due anni, parallelamente a quanto accaduto con l’apprendistato, si è tornati in maniera incisiva sul tema.
La normativa in materia rimane, tuttavia, eterogenea e frammentaria. Si segnala, a titolo esemplificativo, l’impegno e la scommessa che la Regione Toscana sta portando avanti per la valorizzazione di questo strumento al fine di facilitare e agevolare l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro.
In questo quadro deve leggersi, quindi, l’intervento che il ministro Sacconi ha portato avanti con l’approvazione dell’art. 11 del D.L. 138/2011. Il provvedimento, infatti, ha certamente rappresentato lo sforzo del governo Berlusconi di offrire alcuni elementi minimi di uniformità regolatoria alla materia anche al fine di contrastare l’abuso degli stage nelle imprese, così come nelle Pubbliche amministrazioni. La stessa “Riforma Fornero” prevede la definizione di linee guida condivise Stato-Regioni in materia (la versione originale del testo parlava addirittura di un d.lgs). L’intesa prevista, tuttavia, fa parte di quell’85% dei provvedimenti attuativi della riforma rimasti ancora inattuati e solo sulla carta. La delega scade, inoltre, il 18 gennaio ed è, quindi, prevedibile che non se ne farà di nulla.
Nel contesto delineato si inserisce una nuova sentenza della Consulta, la 287 del 19 dicembre del 2012, che di fronte all’impugnazione, da parte di alcune regioni, dell’articolo 11 del D.L. 138/2011 ha ribadito come la competenza delle Regioni in materia sia esclusiva. Una decisione che rischia di rallentare il processo che si era avviato di ridefinizione e razionalizzazione della disciplina con la determinazione di, almeno, alcuni livelli minimi essenziali delle prestazioni.
In un quadro nazionale e comunitario, infatti, in cui il tema dell’inoccupazione/disoccupazione giovanile rappresenta la priorità delle priorità è particolarmente sentita la necessità di dotarsi di un quadro di regole e responsabilità chiare e ben definite.
È da auspicarsi, tuttavia, che l’intervento della Corte possa rappresentare altresì uno stimolo alla discussione e che si possa, in tempi celeri, arrivare così a una nuova cornice normativa che faciliti il ricorso a questa misura e agevoli un ingresso “di qualità” dei giovani nel nostro mercato del lavoro e, allo stesso tempo, il reinserimento nel mondo del lavoro dei lavoratori espulsi da una crisi economica che continua a colpire duramente il tessuto produttivo del nostro Paese.
L’assenza di regole del gioco chiare e condivise ha infatti, in questi anni, impedito che si valorizzassero appieno tutte le potenzialità di questa misura favorendone, anzi, un uso distorto teso principalmente a una riduzione dei costi della manodopera che ha portato con sé anche un peggioramento complessivo dei diritti dei lavoratori interessati divenuti, in alcuni casi, “tirocinanti in servizio permanente” che passano, senza soluzione di continuità, da uno stage all’altro.