Il 2012 si sta ormai concludendo, mancano pochi giorni. Ogni passaggio – e il passaggio verso l’anno nuovo non fa eccezione – è caratterizzato dalla tendenza a fare un bilancio. Com’è stato questo anno? È stato all’altezza delle nostre aspettative, oppure ha deluso le nostre previsioni?

Credo che dal punto di vista del mercato del lavoro, intendendo quindi livello di occupazione, disoccupazione, redditi, avviamenti e cessazione di imprese e contratti, il bilancio sia deludente. Dico deludente non perché sia stato complessivamente peggiore del 2011, ma perché il 2012 era iniziato con una grande aspettativa, forte degli ultimi due trimestri dell’anno precedente. Avevamo una congiuntura economica in lenta ripresa, la quale aveva convinto in molti che l’anno in via di conclusione sarebbe stato migliore.



Così non è stato. Siamo in una situazione di stagnazione economica e occupazionale, sembra quasi che siamo usciti dalla crisi – per definizione la crisi è un periodo transitorio – perché la realtà che viviamo quotidianamente, ordinariamente, è divenuta la normalità. Dobbiamo quindi sforzarci a cambiare i paradigmi con i quali affrontiamo e leggiamo la realtà. Non possiamo pensare che “uscire dalla crisi” voglia dire tornare alla situazione, al modello economico-occupazionale “pre-crisi”, semplicemente perché quel modello, quegli assunti ideali/ideologici hanno contribuito a generare la crisi stessa.



Il 2012 ci ha deluso. Ci ha deluso perché non siamo stati in grado di ripartire. Tale inadeguatezza si è palesata per una ragione molto semplice: non sapevamo su cosa ricostruire, o se lo sapevamo non abbiamo avuto il coraggio e la forza per affermarlo, perché avrebbe voluto dire rompere con gli schemi passati. La prima grande evidenza è che il problema più caldo che dobbiamo affrontare è quello del lavoro. Poco tempo fa discutevamo di “come” doveva essere l’occupazione, oggi la questione è che il lavoro manca, il lavoro non c’è.

Soprattutto i più giovani faticano a trovare un impiego e oltre a loro si aggiungono gli over 40/50 che, fuoriusciti dal mercato del lavoro, faticano a essere ricollocati. Inoltre, quando trovano un’occupazione vengono impiegati con contratti di lavoro temporanei, spesso economicamente non gratificanti e facilmente eludibili dal punto di vista normativo. A questo si aggiunge un sistema di welfare improntato alla tutela del posto di lavoro, che protegge solo chi è attualmente occupato, mostrando notevoli lacune nell’affrontare il problema della ricollocazione.



Cosa può fare il sindacato in questa situazione, che contributo può dare per sostenere ogni singolo lavoratore, ogni singolo giovane? La Cisl si sta riorganizzando. Ha in atto un profondo mutamento che prevede una notevole riduzione degli organi dirigenziali per un rafforzamento della propria presenza sul territorio.

Non è una scelta di mera razionalizzazione economica, ma dietro a tale scelta vi è un’idea di politica sindacale e quindi occupazionale: occorre governare, monitorare e presidiare il territorio, ogni singola azienda, perché è li che si gioca lo scambio tra capitale e lavoro, lì i mutamenti dell’impresa (maggiore flessibilità oraria, maggiore impiego dei macchinari, ecc.) devono essere conciliati con le esigenze dei lavoratori (maggiore retribuzione, più tutele di welfare aziendale, ecc.).

L’accordo sulla produttività siglato da tutte le parti sociali, con l’esclusione della sola Cgil, va nella giusta direzione: dove si stipula un contratto aziendale, che modifica le condizioni lavorative per una maggiore efficienza dell’impresa, il lavoratore si ritrova più soldi in tasca, perché la componente retributiva legata alla produttività viene detassata.

L’altro grande tema riguarda i giovani. La preoccupazione più grande che ha il sindacato è una sola: che i ragazzi che terminano il loro percorso scolastico, affrontando un mercato del lavoro a loro ostico, che non gli offre opportunità durature, non perdano l’entusiasmo. L’eventuale perdita di entusiasmo, l’assopimento del desiderio di una generazione rischia di essere il grande delitto al quale sindacati, imprese e istituzioni rimangono spettatori.

Per affrontare questa sciagura la Cisl con coraggio si apre ai giovani. Da gennaio partirà un nuovo servizio, realizzato e gestito da ragazzi neolaureati che si mobiliteranno insieme a tutte le strutture della Confederazione per accompagnare i giovani nella ricerca di una nuova occupazione.

Non vogliamo aspettare che il governo adotti misure adeguate, nemmeno che la congiuntura economica migliori, né tanto meno attendere un impeto innovativo delle imprese. Vogliamo giocare il nostro protagonismo di attore sociale e per farlo intendiamo valorizzare l’impegno di tanti ragazzi che non si arrendono alla condizione negativa, ma affrontano la drammaticità della situazione come se fosse un’opportunità, perché la difficoltà può essere occasione per la maturazione di responsabilità e di un nuovo impegno sociale.

Ovviamente continueremo a incalzare i governi che si succederanno nei prossimi mesi, andremo avanti a contrattare con le imprese a tutti i livelli, da quello nazionale fino alla singola azienda, ma non risparmieremo la nostra libertà e la nostra responsabilità nell’essere promotori del cambiamento.

Il 2013 sarà un anno decisivo. Un certo sindacato ha deciso, rimettendosi in discussione, di viverlo da protagonista.

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