Nei giorni scorsi è stato reso noto che uno dei vincitori del concorso pubblico, finalizzato ad assegnare cinque posti a tempo determinato presso l’Authority per la Concorrenza, era in stretti rapporti, di carattere sia professionale che personale, con il Presidente dell’Istituzione stessa. È solo l’ultimo caso di estrema disfunzione di una procedura di selezione tramite concorso pubblico. Ovviamente la notizia ha subito alimentato polemiche sull’opportunità della nomina e sulla dubbia moralità del Presidente, accusato di aver favorito un amico.



Non conosco a fondo la questione, ma faccio leva sulla conoscenza acquisita rispetto alla metodologia dei concorsi pubblici e non posso non constatare che quanto successo purtroppo non è stato determinato né dalla dubbia moralità del Presidente, né da altri vizi di forma. La cosa più ovvia e scontata sarebbe affermare che il fatto sia un semplice caso di raccomandazione, eppure mi sembra che la vicenda sia da analizzare in maniera più ampia, perché testimonia come – anche ipotizzando per assurdo un totale rispetto della forma e una piena moralità di chi applica le procedure – il pieno rispetto di quest’ultime porti a un risultato tremendamente squalificante per chi ha vinto il concorso, per l’ente in questione e per tutta la Pubblica amministrazione. Il vincitore del concorso sarà marchiato come “raccomandato” dall’opinione pubblica, l’Authority perderà la sua credibilità e sarà immediato allargare la medesima opinione a tutta la Pubblica amministrazione.



A oggi le norme del settore pubblico che obbligano gli enti e i dipendenti preposti a una procedura concorsuale pubblica, anche nella totale correttezza degli atti, non garantiscono in alcun modo la massima diffusione dell’informazione, la trasparenza negli atti e l’equità per chi partecipa. Risultano infatti avvantaggiati coloro che gravitano nei pressi delle amministrazioni per motivi personali (amici, parenti, conoscenti di dipendenti pubblici, ecc.), coloro che partecipano a più concorsi (professionisti delle modalità concorsuali) e quanti non hanno grandi opportunità sul mercato e sono quindi disponibili a dedicare molto tempo alle procedure selettive. Tutto ciò non avviene, come molti credono, per motivi legati a una dubbia moralità, ma è correlato alla natura stessa della legge e delle procedure.



I professionisti più meritevoli e talentuosi, che generalmente sono già impiegati sul mercato, non hanno nessun interesse a partecipare alle selezioni così organizzate e probabilmente, nella maggior parte dei casi, neppure possiedono l’informazione di quanto sta accadendo. Tutte le procedure, improntate alla correttezza formale e legale, sacrificano totalmente l’efficacia sostanziale della selezione, perché non agevolano la partecipazione dei talenti e favoriscono invece tutti quegli amici e burocrati, che semplicemente approfittano, anche in buona fede, delle loro parentele e conoscenze, come da sempre è uso nel nostro Paese.

Per ovviare a questa situazione bisognerebbe modificare velocemente la normativa di settore, oltre alla mentalità burocratica, inserendo alcuni correttivi nella procedura pubblica. Innanzitutto sarebbe buona cosa abolire il vincolo di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, sostituendolo con l’utilizzo di siti web o di altri strumenti all’avanguardia, scelti in ragione della loro effettiva capacità di raggiungere tutti i potenziali destinatari del concorso in modo preciso e misurabile.

Secondariamente bisognerebbe inserire una fase di preselezione che identifichi, anche tramite società esterne, il bacino ideale di candidati da reclutare e le caratteristiche ricercate, in modo che il ruolo possa essere perfettamente illustrato, prima della procedura concorsuale vera e propria. Infine, andrebbe prevista una fase di ricerca attiva del candidato, tramite strumenti interni o esterni all’amministrazione, che attiri i talenti e li confronti con candidati “interni”, assunti presso la stessa struttura o in ambito simile.

Grazie alla sola applicazione di queste semplici regole, la procedura potrebbe iniziare a diventare concretamente valida, inattaccabile sotto ogni punto di vista e allineata a standard internazionali che garantiscano la massima efficienza. Di conseguenza, sarebbe possibile finalmente evitare di incorrere in fenomeni di aggiramento delle norme, che hanno dato vita all’attuale “far west” delle chiamate dirette e di fiducia.

Stiamo vivendo un momento storico delicato e denso di cambiamenti, siamo passati da uno Stato e una Pubblica amministrazione forti ad uno Stato indebitato e a una Pubblica amministrazione non più così appetibile: un cambiamento delle modalità di selezione sarebbe un primo, importante passo per riavvicinare il cittadino alle Istituzioni e per riguadagnare competitività in un mondo sempre più complesso, risollevando l’immagine della nostra “Italietta” e facendone un Paese degno di fiducia.