La disoccupazione giovanile è al 36,5%? Benissimo. E’ sufficiente che un lavoratore anziano decida di cambiare il suo contratto in part-time. L’azienda, in cambio, assumerà un apprendista. E abbiamo risolto il problema. Almeno, così la pensa il ministro del Lavoro, Elsa Fornero. Che, da Bruxelles, ha lanciato l’idea di una “staffetta generazionale”. IlSussidiario.net chiesto a Maurizio Del Conte, professore di Diritto del lavoro alla Bocconi se l’opzione è fattibile. «La staffetta generazionale, a certe condizioni, potrebbe risultare un esperimento auspicabile. Ma, anzitutto, dobbiamo tener conto del fatto che costa. Non è pensabile, infatti, varare un intervento del genere senza una misura compensativa del reddito perso dai lavoratori anziani; a cui non si può certo chiedere di rinunciare a metà del loro stipendio ma, soprattutto, alla metà dei contributi previdenziali. Perderebbero parte del reddito e avrebbero una pensione più bassa. E’ necessario, quindi, mettere a disposizione le relative risorse finanziarie». In particolare, «il governo potrebbe prevedere una retribuzione figurativa per il differenziale relativo alla riduzione del lavoro; ovvero, il lavoratore non pagherebbe i contributi ma l’Inps glieli verserebbe come se lo fossero stati. Contestualmente, sarebbe necessario incentivare l’assunzione. Prevalentemente, come ha ipotizzato il ministro, con un contratto di apprendistato». Prestando attenzione nell’evitare inutili e fuorvianti automatismi. «In questo processo, sarebbe preferibile che la formazione del neo-assunto venisse effettuata, in buona parte, proprio dal lavoratore anziano, che si affiancherebbe a quello giovane. In questo modo, la staffetta non sarebbe un semplice scambio, ma una pratica funzionale alla trasmissione del sapere».
Qualcosa del genere, in Italia, già esiste: «Il recente contratto dei chimici prevede proprio quanto ipotizzato dalla Fornero. Ma ne rinvia al governo la definizione effettiva e il reperimento dei fondi necessari». Sarebbe, inoltre, preferibile seguire quel percorso a parabola tipico di molti Paesi stranieri: «in buona parte del nord Europa, il picco retributivo e l’apice della carriera si raggiungono non tanto nella fase lavorativa più avanzata, quando si è ormai anziani, quanto, all’incirca, a metà del proprio cammino. La retribuzione è distribuita in maniera diversa; il che rende possibile una riduzione dello stipendio e delle mansioni del lavoratore a fine carriera, consentendo di liberare risorse per l’assunzione di giovani». Ovviamente, un meccanismo del genere è applicabile esclusivamente a una porzione limitata della popolazione lavorativa. «I manager, in particolare. Non si può certo ridurre lo stipendio a un impiegato che guadagna 1300-1500 euro al mese. Tanto più che la riforma delle pensioni ha allungato, e di parecchio, la permanenza sul lavoro».
Il che, sta producendo un notevole paradosso. «Anche i lavoratori di livello medio-basso costeranno sempre di più perché raggiungeranno una fascia di età in cui, fisiologicamente, la loro produttività sarò sempre inferiore. Si è alzata, in sostanza, l’età pensionabile pensando di ridurre i costi del sistema pensionistico, senza pensare che aumenteranno quelli per le imprese e per i lavoratori».