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Negli ultimi mesi si è detto e scritto davvero molto sulla Riforma del lavoro, anche su queste pagine. Sia durante la fase di elaborazione della nuova legge, sia in quella di commento finale si è infatti cercato di mettere a disposizione dei soggetti chiamati a decidere una serie di giudizi, idee e informazioni utili per dare alla Riforma la maggior efficacia possibile. Da un lato, infatti, si è provato a prevedere gli effetti che essa avrebbe potuto avere sul mercato del lavoro, dall’altro a evidenziarne i possibili – e auspicabili – margini di miglioramento.



Al di là dell’inevitabile dialettica che ne è scaturita e del fiume di commenti cui abbiamo assistito, ci sembra ora fondamentale tornare nuovamente a fissare la nostra attenzione sui principali obiettivi di una Riforma: obiettivi che, per essere davvero utili, non possono essere di parte ma, piuttosto, vantaggiosi erga omnes. Quali, dunque, i veri obiettivi che avrebbero dovuto essere alla base di una Riforma del lavoro?



Primo: far crescere numericamente le opportunità di lavoro “sano”, a maggior ragione in un momento di crisi economica che tende a scoraggiare le occasioni esistenti. Dal mercato del lavoro, infatti, ci si attende non tanto che crei posti di lavoro di per sé, ma, piuttosto, che faciliti e incentivi le imprese a offrire lavoro e sostegno a chi tenta di trovarlo e mantenerlo. Secondo: supportare le imprese rispondendo, in particolare, alle loro esigenze relative alla qualità e flessibilità del lavoro. Terzo: garantire alle persone un contesto in cui il lavoro sia, da un lato, responsabilizzante e capace di premiare il merito e, dall’altro, sicuro, trasparente e regolare per tutti. Sarà così possibile superare, finalmente, quelle forme di moderno “schiavismo” che tendono a ridurre i più deboli in condizioni al di fuori di ogni tutela e spesso, ahimè, gestite con la legge della giungla.



La recente Riforma, incidendo in modo efficace su temi quali la flessibilità in uscita e quella in entrata, le modalità di inserimento lavorativo dei giovani, la ricollocazione e gli ammortizzatori sociali, riteniamo abbia voluto – se in modo più o meno adeguato lo vedremo dagli effetti – provare a perseguire proprio questi obiettivi.

È giunto però ora il momento di giudicare, al di là di facili discorsi, cosa stia succedendo davvero e di verificare, con attenzione e sistematicità, quanto i provvedimenti presi siano efficaci in relazione agli obiettivi individuati. La stessa Riforma Fornero prevede in effetti – già all’art 1 comma 2 – che gli impatti della Legge e lo stato di attuazione degli interventi vengano misurati, quanto alla loro efficacia, attraverso la realizzazione di un sistema permanente di monitoraggio: fatto, questo, certamente nuovo e meritorio nella tradizione normativa del nostro Paese. Solo così sarà infatti eventualmente possibile suggerire al prossimo Governo, qualunque esso sia, elementi utili a proseguire in un positivo percorso di cambiamento. E questo, beninteso, al di là dei consueti ideologismi e delle banali convenienze politiche di breve termine.

Il mondo del lavoro necessita di molta osservazione e di poco ragionamento astratto, per poter davvero sovvertire quella dottrina della negoziazione a tutti i costi che, se non strettamente legata ad alcune realistiche ipotesi di perseguimento del bene comune, si riduce a un dialogo sterile, che finisce solo per paralizzare qualsiasi forma di evoluzione.

Per esercitare efficacemente il suo ruolo di guida – nel pieno rispetto delle parti e in modo non autoreferenziale – il Governo ha piuttosto il compito di condividere gli obiettivi, determinare una direzione e accettare di sottomettere la propria azione alla verifica dell’esperienza: solo così sarà in grado di supportare imprese e persone in un positivo e quanto mai necessario percorso di sviluppo del nostro mercato del lavoro.