Di fronte ai propri omologhi europei riuniti a Bruxelles, il ministro del Welfare, Elsa Fornero, ha scandito le linee guida della riforma del mercato del lavoro. Un’imbastitura, in realtà, più che un discorso programmatico vero e proprio. Nella quale, gran parte dei principi enunciati erano già stati anticipati dalle precedenti dichiarazioni del ministro o resi noti dall’avvicendarsi delle numerose indiscrezioni circa le sue intenzioni. In sostanza, tra le priorità identificate, vi è il riordino dei contratti aziendali, l’introduzione di sgravi fiscali per imprese che assumono giovani e donne, una riforma degli ammortizzatori sociali e il sanamento della frattura che separa il Nord dal Sud. Quest’ultima, secondo Gaetano Troina, professore di Economia aziendale presso l’Università di Roma Tre contattato da ilSussidiario.net, è la prima cosa da farsi. «Occorre anzitutto – spiega – un cambiamento culturale che educhi i cittadini a intendere le due metà dell’Italia come un’unità logica ed etica. Riaffermando valori come la solidarietà tra le diverse anime del Paese». Detto questo, secondo il professore, «benché lo stereotipo in salsa leghista sia ristretto a un ambito molto limitato», nessuno può nascondere una tra le più gravi criticità del Meridione: «C’è un evidente problema di criminalità organizzata».
Per porvi rimedio vi è un’unica strada: «La presenza dello Stato deve essere fattiva. Non si può, cioè, fornire al Sud fondi, finanziamenti o sgravi fiscali senza che sul territorio vi sia una presenza dello Stato in grado di impedire le infiltrazioni mafiose nelle sue strutture; ne ci può limitare ad aumentare il numero dei militari». Troina la pensa come il ministro, e si dice convinto della necessità di impiegare al meglio i finanziamenti della Comunità europea finora inutilizzati. Partendo da un principio di sano realismo: «Non possiamo pensare che Nord e Sud siano uguali. Nel Mezzogiorno vanno sviluppati quei comparti maggiormente connaturati al territorio: ovvero, turismo e agricoltura. È ipotizzabile, inoltre, sviluppare delle eccellenze (ce ne sono di svariate, ad esempio, nel settore telematico) accanto a una rivalutazione delle università. Ma non possiamo pensare, di certo, a un’industrializzazione massiccia». In sostanza, «si deve partire dal territorio per creare un progetto adeguato alle esigenze e alle potenzialità che esprime; e non, come accade di norma, al contrario, partendo da un progetto a priori da applicare al territorio».
Sulla disoccupazione giovanile, il professore non ha dubbi: «Essa – ben più che la differenza percentuale tra occupazione maschile e femminile – rappresenta un problema serissimo. Se, in tempi molto rapidi, non si troverà soluzione, l’Italia (e non, solamente, le giovani generazioni) è perduta». È decisamente meno urgente, invece, la razionalizzazione dei contratti: «temo che rischia di diventare una sorta di ennesimo “articolo 18”. Può essere utile, certo, ma non mi sembra fondamentale».
Per quanto riguarda infine, gli ammortizzatori sociali, il presupposto da cui parte il professore, «è poco economico, probabilmente, ma molto umano: le pance hanno bisogno di essere sfamate. Di fronte a questo, una soluzione va trovata. La questione del salario minimo garantito, quindi, è ragionevole. Ma solo in determinate situazioni. Nel caso, in cui, ad esempio, il lavoratore stia partecipando a un’attività formativa».