Dall’entusiasmo allo scoramento, il tragitto è stato breve. Tanto quanto l’iter della riforma pensionistica. Varata per decreto ed emendata per decreto, può dirsi giunta al termine; anche il Milleproroghe si appresta alla definitiva conversione in legge, questioni di giorni. Nei precedenti, invece, i ritocchi si avvicendavano, mentre in buona parte del Parlamento cresceva il dubbio che, forse, il provvedimento era gravato da una serie di errori di base che non sarebbe stato possibile correggere con semplici emendamenti. Troppo tardi. «Al Senato le correzioni sono state decisamente limitate. Purtroppo, era prevedibile. Sta di fatto che, adesso, restano aperte una serie di gravi questioni», afferma, raggiunto da ilSussidiario.net Silvano Moffa, presidente della commissione Lavoro della Camera.
Tra le criticità irrisolte, come è noto, vi è, anzitutto, quella relativa a numerosi esodati (leggi l’intervista a Walter Passerini). «In materia, andranno fatte ulteriori riflessioni. Persistono, infatti, delle iniquità che devono essere necessariamente corrette, dato il danno considerevole per le persone che ne sono oggetto». Di certo, non vi sarà modo di farlo nel corso della terza lettura. «Sarà l’ultima. Si è deciso di porre la fiducia per accelerare i tempi di approvazione. È evidente che si tratti di una netta chiusura rispetto all’ipotesi di ulteriori modifiche. Potrebbe essere posta mercoledì o giovedì; di conseguenza il provvedimento potrebbe essere approvato definitivamente entro questa settimana o il martedì della prossima». E le questioni aperte? «Mi auguro – dice – che saranno ricomprese quando affronteremo la riforma del lavoro. Si tratterà, in ogni caso, di interventi riequilibranti. Non di inversioni di rotta o cambiamenti sostanziali. L’entità complessiva delle riforma ha una logica che non può essere toccata». La Fornero ha parlato della possibilità di un provvedimento ad hoc.
«Non possiamo fare altro che fidarci delle buone intenzioni del governo. Credo che lo stesso ministro abbia una sensibilità sociale abbastanza spiccata per comprendere i contraccolpi sul piano sociale che si determineranno. E che restano una serie di nodi da correggere anche sul fronte dei lavoratori precoci e di chi svolge mestieri usuranti». Giuliano Cazzola, su queste pagine, si era detto convinto del fatto che «con tutte le deroghe che si sono individuate, sarebbe stato saggio fare una riforma più soft, con una transizione un po’ più lunga. Non ha senso fare norme severissime e tenere fuori la metà delle persone a cui si applicano». Moffa è del medesimo avviso e spiega: «Siamo tutti d’accordo, la riforma andava fatta. Non tanto per adeguarci al sistema europeo (casomai, è il sistema europeo che deve adeguarsi a quello italiano) quanto per una ragione di prospettive legate all’aumento dell’età media e alla correzione di squilibri che si erano creati negli anni. Detto questo, occorreva maggiore gradualità».
Non solo: «Con un apposito intervento bipartisan, firmato, tra gli altri, da Cazzola e dal sottoscritto, avevamo tentato di introdurre il concetto della volontarietà, fondato su un meccanismo di leve premiali e penalizzanti a seconda che si fosse andati in pensioni più tardi o prima». La misura avrebbe sortito un duplice effetto: «In questo modo la riforma sarebbe stata meno penalizzante. E, considerando che la sensibilità sociale rispetto al problema della sostenibilità del sistema è notevolmente cresciuta, molti lavoratori anziani che avessero maturato il diritto alla pensione si sarebbero convinti della necessità di rimanere sul lavoro». Invece, si è presa tutta un’altra piega. «Al provvedimento che avevamo presentato, la Fornero non ha creduto fino in fondo».
(Paolo Nessi)