L’Aula di Montecitorio è ormai pronta a licenziare definitivamente il decreto Milleproroghe. In mattinata è iniziata la discussione e, già in giornata, potrebbe essere posta la questione di fiducia. Non è escluso, quindi, che domani ci sia il voto finale; con ogni probabilità, il provvedimento vedrà la luce entro il fine settimana. Non più tardi, in ogni caso, del 27 febbraio quando, se non sarà ancora stato tradotto in legge, decadrà. Tempi risicati, dunque, e un ritmo incalzante dettato dalla fretta hanno penalizzato la discussione e prodotto una serie di approssimazioni giuridiche inaccettabili. «Si poteva e si doveva fare di più, indubbiamente. Specie per quella quota di lavoratori esodati che non è stata “salvata”, e che non potrà andare in pensione con il regime precedente. Si tratta, è bene ricordarlo, di persone che si sono viste cambiare la vita dalla sera alla mattina», afferma, raggiunto da ilSussidiario.net il senatore Paolo Nerozzi. «Si tratta – continua, riferendosi agli esodati -, di coloro che si sono licenziati dalla propria azienda, su base volontaria, in seguito a un accordo individuale; ma che non possono dimostrare di aver sottoscritto l’intesa avendo osservato determinati criteri, quali il coinvolgimento delle organizzazioni sindacali». Anche laddove questi criteri fossero stati rispettati, restano aperte una serie di questioni. Aver chiuso l’accordo entro il 31 dicembre, come prevede la legge, non significa che il rapporto si sia effettivamente concluso. Di conseguenza «per chi ha firmato un accordo entro il 31 dicembre  2012, ma avrebbe maturato il diritto ad accedere al trattamento solamente 1, 2 o 3 anni dopo, siamo, normativamente, nella terra di nessuno», affermava, su queste pagine Walter Passerini. «Ebbene – continua Nerozzi -, costoro si ritroveranno senza pensione e senza lavoro».



Non sono i soli a rimanere fuori dalle deroghe: «Restano le penalizzazioni per alcune tipologie di lavoratori precoci». C’è, inoltre, un rammarico di fondo: «Complessivamente, si sarebbe potuto varare la riforma con maggiore gradualità, modulandola in maniera diversa; ovvero, introducendo il meccanismo della “forbice”, con leve penalizzanti o premiali a seconda che si fosse deciso di andare in pensione prima o dopo». Il tutto, ovviamente, rispetto alla riforma in dirittura d’arrivo, non sarebbe dovuto costare un centesimo in più: «Era possibile applicare un meccanismo più morbido con la stessa identica copertura». Tornando a chi è rimasto fuori, resta da capire se e quando la loro vicenda sarà presa nuovamente in considerazione. «Ora è in corso una trattativa con le parti sociali, per avviare la riforma del mercato del lavoro. Quello può essere il luogo per discutere delle questioni irrisolte, l’occasione per lanciare un segnale distensivo». Ciò non significa che quello sarà anche il luogo dove saranno effettivamente risolte.



«La Fornero ha parlato di un provvedimento ad hoc. È ragionevole presumere che sarà presentato in seguito alla riforma del lavoro, prima della conclusione della legislatura». Il problema è sempre la copertura. «Francamente – replica Nerozzi – si tratta di risorse decisamente esigue. Non mi spiego, quindi, perché la Fonero non abbia voluto risolvere il problema sin da subito». L’altra grande categoria di lavoratori penalizzati, è quella di chi svolge lavori usuranti. «Se si fosse messo mano a essi per tempo, non ci troveremmo in questa situazione. Gran parte degli esodati e dei precoci, infatti, rientrano anche nella tipologia degli usurati». 

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