Si pensava di esser giunti, oramai, all’epilogo, di potere dare per acquisito quanto sin qui prescritto, anche per quel che riguarda le pensioni. Manco a parlarne. Finora è solo un dubbio, ma, a insinuarlo, è il presidente Napolitano. In una lettera inviata ai presidenti di Camera e Senato ha ricordato che la Corte Costituzionale con sentenza n. 22 del 2012 aveva annullato disposizioni inserite dalle Camere in un decreto-legge nel corso dell’esame del relativo disegno di legge di conversione. E, guarda caso, lo aveva fatto in relazione al Milleproroghe del 2010. Il motivo? In sostanza, gli emendamenti non c’entravano nulla con il decreto. Detto in altri termini per «estraneità alla materia e alle finalità del medesimo».



D’altro canto, quand’anche tali emendamenti fossero stati giustificati dal carattere di urgenza, non si capisce – fa presente il capo dello Stato – perché non introdurli, allora, in un provvedimento apposito.  Ciò detto, resta da capire cosa ne sarà di chi rischia di essere più colpito da un’eventuale scomunica della Corte. Ovvero, talune categorie di lavoratori, quali gli esodati e i precoci. Gran parte degli emendamenti identificati in corso d’opera, infatti, erano dedicati proprio a loro. «Il problema è che quasi tutti hanno interpretato la lettera di Napolitano in relazione ai decreti in corsi d’esame, a cominciare da quello sulle liberalizzazioni», afferma, raggiunto da ilSussidiario.net il senatore Stefano Ceccanti. «Napolitano, in realtà – continua -, dal momento che c’è stata la sentenza della Corte non ha fatto altro che mettere il Parlamento in guardia; se continua a “infilare” nei decreto elementi che con essi non hanno nulla a che fare, il rischio è che la Corte faccia saltare quei provvedimenti. Insomma, uomo avvisato, mezzo salvato».



Il presidente, quindi, non si riferiva ad un provvedimento specifico: «Quanto pronunciato dalla Consulta, benché fosse in relazione ad un Milleproroghe, vale per tutti i decreti». Non è tutto: «Napolitano, con ogni probabilità, ha inteso rivolgere un invito a ripensare allo strumento del Milleprogohe. E’ divenuto, ormai, infatti, un “carrozzone” ove si infila tutto e il suo contrario».

I giudici, dal canto loro, «con quella sentenza hanno annunciato uno screening molto più robusto su tutti i decreti». Cosa accadrebbe in caso di parere negativo? «In caso di bocciatura, salterebbe solamente la norma o la parte di norma bocciata. È come se, su quella misura, vi fosse stato un referendum abrogativo». Resta, appunto, da capire cosa ne sarà della nuova disciplina pensionistica. «Difficile dirlo. Ma, effettivamente, dei dubbi ci sono. Sta di fatto che tutto quello che non è proroga o non è riconducibile a una proroga rischia seriamente di essere respinto». Poniamo, ad esempio, l’emendamento della senatrice Bastico. Riguarda chi ha ottenuto un congedo biennale retribuito per accudire un figlio disabile o i congedi per paternità obbligatoria. Era stata accolta la proposta di considerare anche tali contributi nel computo dei requisiti per potere andare in pensione con il regime precedente alla riforma. Il che, effettivamente, non assomiglia per niente ad una proroga.



«Diciamo – spiega Ceccanti – che è una norma a rischio. È legittimo avere dei subbi». Se siamo arrivati a questo punto, c’è un motivo: «La Consulta ha deciso di restringere il potere di emendamento dei Parlamentari sui decreti perché, di questo potere, si è abusato. Come nel caso dell’insindacabilità degli atti parlamentari: la Corte ha fatto una giurisprudenza restrittiva, ma solo perché Sgarbi, quando era in Parlamento, si era messo a insultare tutti dalla Tv. Era stata costretta dall’abuso a compiere delle restrizioni».

 

(Paolo Nessi)