In questi giorni di vivaci discussioni sulla riforma del lavoro sorprende favorevolmente il fatto che sindacati, Confindustria, parti sociali e opinionisti esprimano unanimemente pareri positivi sul ruolo delle Agenzie per il lavoro (Apl) nel gestire la flexicurity. Risulta però incomprensibile che non vengano coinvolte nei lavori della riforma, forse a causa della scarsa consapevolezza del loro ruolo sociale. È positivo che le agenzie siano viste come una forma flessibile ma più equa e tutelante per le persone, ancorché più costosa di tutte quelle modalità spurie che vengono utilizzate a piene mani, confondendo l’esigenza di flessibilità delle aziende con quella di ridurre impropriamente il costo del lavoro.



Tuttavia, per comprendere a fondo il ruolo delle Apl è utile confrontare il contratto di somministrazione con il lavoro a termine gestito dalle aziende senza intermediazione. Solo così ci si rende conto del valore aggiunto offerto dalle agenzie. Innanzitutto, le Apl supportano il lavoratore in ambiti nei quali le aziende che utilizzano contratti a termine non vogliono, né possono intervenire, quali, ad esempio, la costruzione di una reale “occupabilità” della persona – attraverso la formazione e il suo sviluppo professionale – o il placement successivo all’impiego a termine. Ma c’è di più. Esiste la possibilità di stabilizzare le persone a tempo indeterminato all’interno delle stesse agenzie che si preoccuperanno di utilizzare al meglio le risorse presso le aziende clienti supportandole in una continua qualificazione professionale.



Inoltre, come ho già avuto modo di spiegare, anche nei confronti dell’apprendistato il ruolo delle Apl risulta fondamentale perché si pongono come “Parte Terza” capace di contribuire al percorso formativo del lavoratore. Infine, attualmente le agenzie supportano la persona e la sua collocazione o ricollocazione professionale assolvendo così a un effettivo servizio pubblico, accessibile a tutte le fasce della popolazione. Le agenzie, insomma, sono realmente un soggetto strategico nel mercato del lavoro, perché facilitano a tutti i livelli l‘incontro tra domanda offerta (basti pensare ai servizi di ricerca e selezione e a quelli di ricollocazione), contribuendo in modo decisivo a un bisogno di pubblica utilità.



Proprio per il ruolo che già giocano nel mercato, le Apl dovrebbero essere parte attiva nell’attuale contrattazione sulla riforma del lavoro, sia in termini operativi che – più in generale – di vision. In caso contrario, si perderebbero due importanti opportunità per un reale miglioramento del funzionamento del mercato del lavoro: non si beneficerebbe dell’apporto delle Apl nell’identificare soluzioni win win; si rischierebbe di non trarre vantaggio dal valore aggiunto da queste espresso, limitandosi a valutare interessi contrapposti tra loro.

L’attuale incertezza nel coinvolgere le Apl nel dibattito sulle riforme dipende in larga parte da una generale incomprensione proprio del loro reale “ruolo sociale”: un tema non meramente economico, ma piuttosto culturale, che vorrei approfondire e “aprire” al contributo di molti anche attraverso il blog www.scolliniamo.it.

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