C’è una sola ragione che, finora, aveva reso (ma di poco) meno indigesta la riforma delle pensioni agli occhi dei bistrattati cittadini. La legittimazione del provvedimento messo a punto dalla Fornero risiedeva nel fatto che, da qui a breve, il sistema sarebbe imploso, ricadendo sulle fragili fondamenta. Si è detto, inoltre, che le istituzioni europee insistevano in tal senso e che, se non avessimo dato loro retta, ci saremmo trovati in balia dello spread senza più tutele comunitarie. Non era vero niente.  «Si è deciso di intervenire su un sistema che la Commissione europea e il Fondo monetario internazionale avevano giudicato, dal punto di vista economico, perfettamente sostenibile», spiega, interpellato da ilSussidiario.net Domenico Proietti, segretario confederale della Uil con delega alle politiche previdenziali. «L’età di uscita dal lavoro era perfettamente in linea con quella europea. Circa un anno fa avevamo agganciato l’accesso al trattamento previdenziale alle aspettative di vita», aggiunge.



E allora? Cos’è successo? «L’operazione di dicembre è stata fatta per mere ragioni di cassa. Era necessario reperire le risorse per garantire il pareggio del bilancio nel 2013 e non si è avuto il coraggio di tagliare laddove sarebbe stato opportuno». Nei costi improduttivi della politica, anzitutto. «Si sarebbe dovuto riordinare il sistema istituzionale (abolendo le provincie, ad esempio), cancellare o tagliare quelle voci di spesa inficiate da corruzione, e agire sulla miriade di municipalizzate. Basti pensare che pressoché ogni comune dispone di una sua azienda dei trasporti. Istituendone a livello regionale si potrebbe risparmiare svariati miliardi».



La lotta all’evasione, infine: «Anche da questo capitolo sarebbe stato possibile recuperare molto di più. Invece, il governo ha preferito agire dove è più facile colpire. Sul futuro previdenziale dei cittadini. Senza dimenticare le penalizzazioni del presente, con il blocco delle indicizzazioni all’inflazione dei trattamenti pari a tre volte il minimo». Entrando nel merito, Proietti contesta l’impianto stesso del provvedimento: «Si doveva introdurre il principio della volontarietà, in modo da premiare chi fosse andato più tardi in pensione e penalizzando chi fosse andato prima. La copertura richiesta sarebbe stata la medesima». Altro nodo cruciale, quello degli esodati: «Abbiamo calcolato che ci sono almeno 60 mila persone cui è stata modificata la normativa in corso d’opera e che, avendo stipulato accordi di esodo volontario con la propria azienda senza rispettare i criteri delle disciplina vigente, si ritrovano senza lavoro e senza pensione».



Il ministro Fornero, rigettando in Senato la maggior parte degli emendamenti presentati, promise che la partita sugli esodati sarebbe stato riaperta con un provvedimento ad hoc, successivo all’approvazione delle riforma. C’è chi sostiene che la materia possa essere discussa in seno al dibattito sulla riforma del mercato del lavoro. Chi, successivamente. 

«In ogni caso – afferma Proietti – è troppo tardi. Crediamo che già in corso dell’approvazione del decreto sulle liberalizzazioni sia possibile introdurre delle misure che sanino la situazione. Si tratta, infatti, di lavoratori che hanno bisogno di risposte ora».  Si era detto, infine, che la riforma sarebbe stata funzionale alla redistribuzione delle opportunità tra le generazioni. «La prova che non è stato così – conclude – è che non si è destinato un centesimo all’incentivo e allo sviluppo della previdenza complementare, determinante per le giovani generazioni».  

 

(Paolo Nessi)

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