Non riesco a immaginare uno scenario più eloquente per un’intervista in tema lavoro-famiglia: da un capo del telefono l’intervistatrice patteggia con i tre denti e mezzo della secondogenita un block notes sbocconcellato; dall’altro l’intervistata, tra una risposta e l’altra, dirime controversie sull’utilizzo della play station da parte di eredi più grandicelli. Costanza Miriano è un’autorità in materia di madri lavoratrici, visto che di figli ne ha quattro, e di lavori quasi altrettanti, dopo che il successo del suo primo libro, Sposati e sii sottomessa, ha aggiunto un carico di impegni notevole a quello di casa e tg3.



In un recente incontro pubblico, lei ha affermato che sul lavoro “la vera discriminazione non è contro le donne, ma contro le mamme… quando chiedono tempo e spazio per stare a fianco dei bambini”. Qual è secondo lei una possibilità praticabile per la conciliazione?

Ormai abbiamo visto che le donne sono in grado di scalare qualsiasi vertice: possono arrivare sulla luna, dirigere aziende, scoprire malattie. Il problema è quanto ci costano queste conquiste sul piano che ci è più caro: quello degli affetti, per quanto le donne cerchino di negarlo. Una donna che ha successo in campo professionale deve comunque mettere tra parentesi la famiglia. Occorre una forte battaglia culturale sui tempi di lavoro, che sono il vero problema: una battaglia culturale sulla flessibilità, sulla possibilità di lavorare a distanza, entro vincoli non di orario, ma di risultato. Una donna cui questa possibilità viene data offre in cambio una grande lealtà. Ho colleghe che a fronte dell’ottenuta flessibilità di orario lavorano anche malate: è una flessibilità in due sensi. Mi piacerebbe che le battaglie per le pari opportunità vertessero su questo punto: non per il successo e la carriera, ma per rendere materno il mondo del lavoro.



Cosa pensa delle proposte di “quote rosa” nei vertici aziendali o nei cda delle società quotate in borsa?

Sono contrarissima! Se capitasse a me, sarebbe una vera iattura, prima di tutto per un motivo pratico: i tempi delle aziende non sono a misura di donna, o meglio, di mamma. Non è semplice conciliare con i tempi dei figli riunioni serali, pranzi e occasioni per tenere le relazioni… Alle donne dovrebbe essere permesso di lavorare per obiettivi, accorciando i tempi. Ma sono contraria anche per un motivo più serio: il potere è profondamente maschile perché in qualche modo è sempre un po’ violento; caratteristica femminile è quella di saper mediare, accogliere, tenere insieme, ammorbidire i contrasti, valorizzare i talenti, far funzionare quello che c’è con le persone che ci sono, tirandone fuori il meglio. Queste logiche del tutto femminili al momento non sono quelle che servono nelle aziende, e probabilmente non lo saranno mai, perché il “principe di questo mondo” vuole così.



Una mamma contenta del lavoro che fa non è una presenza migliore per la sua famiglia, piuttosto che una che sta a casa mordendo il freno?

Una mamma può essere contenta anche stando a casa: una buona presenza per i figli è una mamma contenta, che lavori o no, poco o tanto che sia. Io personalmente se stessi a casa non morderei il freno, sarei felice, ma purtroppo non posso. Certo, nella scrittura ho modo di prendermi tante gratificazioni anche al di fuori del lavoro; ma quando sono stata a casa un anno stavo benissimo!

 

Il tema del rapporto lavoro-famiglia è sempre osservato dalla prospettiva delle donne; e i papà?

 

Per i padri non sussiste il problema del tempo di lavoro sottratto a quello in famiglia. Il lavoro della mamma è l’accudimento, e quello deve essere continuo. Il lavoro del padre è la regola; è proprio un codice diverso e richiede molto meno tempo: basta enunciarla chiaramente – magari fornendo l’esempio -, però non è necessario essere presenti sempre. Certo, anche un uomo impara qualcosa nel fare famiglia. Mi viene in mente un nostro amico che aveva un pesce rosso e diceva sempre di essere stanchissimo perché gli doveva cambiare l’acqua; poi ha preso un gatto e rimpiangeva i tempi del pesce rosso; poi sono arrivati i figli… Chiaramente anche i padri fanno un percorso: imparano ad avere meno tempo per sé, a essere più disponibili; però la capacità organizzativa nel saper fare più cose insieme, è prettamente femminile e materna.

 

Anche fuori dall’arena lavorativa la strada della famiglia non è una passeggiata; Chesterton diceva: “Il matrimonio è un duello all’ultimo sangue, che nessun uomo d’onore dovrebbe declinare”.

 

Non mi viene da pensare tanto a un duello tra moglie e marito, quanto a un duello con se stessi, con le proprie debolezze. Il matrimonio è anche un cammino di ascesi; la spontaneità è solo una parte, ma c’è anche tanto lavoro. In questo senso è un duello dei più appassionanti, e che sicuramente vale la pena di combattere.

 

Nel sostenere questo cammino, questa “pratica estrema” che nel suo libro lei propone alle donne, che parte ha la fede?

 

Senza la Grazia è un cammino impossibile. Molti sostengono che il matrimonio sia una strada naturale; in effetti, quello che è divino è anche naturale, e profondamente ragionevole: il Vangelo è un “libro di istruzioni” che spiega come funziona l’uomo, e l’uomo funziona così anche se non ci crede. Però in questo momento storico, in cui avere rapporti al di fuori del matrimonio è molto facile e comune, in cui non c’è più una pressione sociale che aiuti la coesione, le cose sono più difficili: senza la Grazia è impossibile intraprendere l’avventura. C’è poi un aspetto su cui rifletto spesso.

 

Quale?

Uomo e donna non bastano a compiere le proprie reciproche attese. Soprattutto la donna, voragine di desiderio di essere amata, è spesso delusa dal marito; non perché questi sia deludente, ma perché la sete va oltre l’umano. Anche davanti alle piccole tensioni, ai momenti in cui si ha bisogno di essere rassicurati e il marito non ci riesce (tutte dinamiche normali), le donne tendono a pretendere moltissimo. Ma alla fine è solo Dio che le colma e le compie. In questo senso si ridimensionano anche tutti i calcoli di chi ha dato di più e di meno, i patteggiamenti di un pomeriggio in palestra in cambio di una serata al calcetto. Occorre uscire da questa dinamica giustizialista, e riconoscere nell’altro la propria via per la santificazione, servendo il quale si serve Dio. Santa Caterina da Siena, prodigandosi sorridente per i suoi familiari che la trattavano da serva, diceva di non vedere in loro i genitori e i fratelli vessatori, ma la Sacra Famiglia. Questa dovrebbe essere la dinamica di una donna nel matrimonio: noi siamo più chiamate al servizio.

 

(Elisabetta Crema)