Tute blu, o meglio rosse, contro il maglione blu. Si può rappresentare così la sfida aperta dai metalmeccanici della Fiom a Marchionne e al “modello Fiat” per rivendicare, con uno sciopero generale e una manifestazione di piazza, la difesa e l’estensione dell’articolo 18 e la richiesta di mettere di nuovo al centro la contrattazione collettiva e il ruolo dei sindacati che, a loro dire, sono stati cacciati dalle fabbriche e dai luoghi del lavoro.



Il “marchionismo” diventa così il nuovo nemico, un vero e proprio modello sociale-culturale ed economico, da combattere e sconfiggere. Su questa base la Fiom si fa centro di aggregazione per le più varie e diverse forme di antagonismo. In questo quadro si deve leggere l’adesione convinta alla causa dei No Tav senza se e senza ma. Un “essere contro”, prima di tutto a una certa forma e idea di liberismo di cui, a suo modo, il Governo Monti è espressione. Un essere e fare sindacato che, secondo una vecchia tradizione, non si può e non si deve limitare al mondo del lavoro e alle rivendicazioni contrattuali. La Fiom era, è bene ricordarlo, in prima fila anche nel contestare il G8 di Genova e un’idea di globalizzazione a cui quell’incontro dava rappresentanza.



In questo senso molti osservatori si chiedono se quello sceso in campo venerdì sia ancora un sindacato o, subendo una profonda mutazione genetica, si sia ormai già fatto partito. Un soggetto, a sinistra del Pd e della stessa Cgil, che alla difficoltosa e impegnativa scelta del riformismo e della negoziazione preferisce l’arma dello scontro ideologico a partire dai temi, particolarmente sensibili, quali quelli del lavoro. Se certamente un altro mondo è possibile, questo non è quello rappresentato da Piazza San Giovanni pochi giorni fa. Un simile approccio a questi temi inoltre non aiuta ne facilità il dialogo, peraltro difficile, tra le parti sociali e il governo. Si sta infatti provando a percorrere insieme una strada piena di ostacoli per arrivare a un’organica e significativa rivisitazione e aggiornamento delle regole che governano il nostro mercato del lavoro.



Il governo tecnico di Super-Mario può riuscirci se tutti i soggetti coinvolti, a partire dai partiti e dalle parti sociali, riusciranno nelle prossime settimane a fare un passo indietro nell’interesse generale del Paese. Quella della riforma del mercato del lavoro può certamente rappresentare la cifra politica di questo governo un po’ strano che tiene insieme uomini e donne fino a pochi mesi fa erano acerrimi nemici. Bene si è fatto a far cadere il tabù sull’articolo 18, ma probabilmente altre sono le priorità. Combattere la disoccupazione e l’inattività di giovani e donne è certamente una di queste.

Includere chi ora è escluso anche attraverso la progettazione e la definizione di nuovi percorsi di inserimento e reinserimento nel mercato del lavoro a partire dalla valorizzazione dell’apprendistato e, appunto, del contratto di inserimento sono la prima parte della risposta. Il Testo unico sull’apprendistato, frutto di condivisione e intesa da parte di Regioni, parti sociali e Governo, può rappresentare una buona pratica e un punto di partenza. Sta ora a tutti gli attori coinvolti recitare responsabilmente, e per quanto di loro competenza, il loro ruolo.

L’altra emergenza è certamente quella di individuare gli strumenti con i quali gestire gli effetti della crisi economica e, allo stesso, gettare le basi per una ridefinizione del sistema delle tutele e degli ammortizzatori sociali estendendoli anche a chi oggi non può accedervi. L’esperienza degli scorsi anni ci fornisce alcuni importanti lezioni. La cassa integrazione, anche e soprattutto quella in deroga, ha vissuto una seconda giovinezza dimostrando la sua efficacia anche in termini di sostenibilità e coesione sociale. Il modello danese della flexicurity adattato alla realtà italiana avrebbe dato i medesimi risultati?

Gli stessi sindacati confederali sembrano dubitarne. Si aggiunge a questo un risvolto legato alle risorse e alla sostenibilità economica di un sistema così delineato in un momento di difficoltà per il bilancio pubblico. La soluzione individuata dal Libro Bianco sulla società attiva di Maurizio Sacconi, che prevedeva un coinvolgimento proattivo delle parti sociali attraverso il sistema della bilateralità, merita certamente di essere valutata e non pregiudizialmente abbandonata.

È su queste sfide, infatti, e non sulla difesa di simboli che probabilmente sono da consegnare alla storia, che si misura oggi la capacità e il protagonismo di una moderna forza sindacale.

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