Il processo si è risolto con esiti opposti alle dichiarazioni d’intenti. La tanto sbandierata equità che avrebbe dovuto connotare l’impianto generale della riforma delle pensioni, facendo così digerire i provvedimenti più drastici, è stata ignorata. E così abbiamo una riforma drastica connotata da provvedimenti equi, ma isolati. «Abbiamo manifestato in tempo reale, non appena la proposta era stata formulata, parere negativo. Fin da subito, si era espresso in questi termini lo stesso Nichi Vendola», afferma, raggiunto da ilSussidiario.net Massimiliano Smeriglio, responsabile economia e lavoro di Sel. «Si tratta – continua, commentando le ultime modifiche contenute nel Milleproroghe – di un provvedimento che, senza essere contemperato da scalini o scaloni, aumenta in maniera brutale l’età lavorativa delle persone. Specie di quelle nate negli anni ’50, che speravano di essersi guadagnate, ormai, l’avvicinamento alla pensione e se la sono svista spostare, in certi casi, anche di 5 o 6 anni». Secondo Smeriglio, l’innalzamento dell’età pensionabile è solo una della criticità più vistose. «L’impianto generale non ci convince. Non contempla, infatti, le diverse specificità nella maniera che meritano. Mettere sullo stesso piano tutti i lavori, senza considerare l’usura che la diverse tipologie determinano, o l’età in cui hanno iniziato a lavorare, è stato un errore».



Solitamente, si imputa all’Europa e alle sue pressanti richieste il varo della nuova disciplina. «Al di là delle ricette che ci chiedeva l’Europa,  c’è stato un eccesso di zelo, finalizzato unicamente al fare cassa secondo modalità del tutto automatiche. In ciò, non è stata messa in campo alcuna competenza o creatività aggiuntiva. Negli ultimi 30 anni, infatti, i soldi si sono sempre recuperati tra i pensionati, i pensionandi o i lavoratori dipendenti». Altro problema non di poco conto: «Nessuno ci ha spiegato come sarà possibile coniugare l’aumento dell’età pensionabile degli over 50 con la precarietà esistenziale degli over 40 e dei giovani che non trovano lavoro». Ci sono, poi, come è ormai noto, tutti quei lavoratori ai quali sono state cambiate le regole in corso d’opera. E che non hanno più un salario né la pensione. «Migliaia di persone per le quali era stata individuata una via di uscita soft dalla propria azienda, nonostante gli accordi presi prima della riforma, si ritrovano in questa situazione in ragione delle nuove norme presenti in essa. E’ necessario metter mano alla questione degli esodati quanto prima. Già nel dibattito in corso sulla riforma del lavoro. Il che rappresenterebbe l’unico elemento positivo della riforma stessa».



Ciò che sta trapelando non rassicura Sel. «Tra le altre cose, per chi ha perso il lavoro sono previsti 12 mesi di cassa integrazione, 12 di sussidio e, poi, nient’altro. Il che rappresenterebbe una pessima imitazione del modello danese che, al contrario, accompagna i cittadini temporaneamente disoccupati alla ricerca di un altro lavoro. Il provvedimento in esame del governo, invece, intende parcheggiarlo per sempre al suo esterno». 

In molti affermano che si è persa l’occasione per varare una riforma ove poter mantenere il principio della volontarietà mediante una certa flessibilità, con la medesima copertura, introducendo un meccanismo di incentivi per chi avesse deciso di andare in pensione più tardi e disincentivi per chi avesse deciso di andarci prima. «Effettivamente, con una serie di precauzioni relative alla dimensione dell’usura – conclude  – si sarebbe trattato di una discussione più civile e attenta alla responsabilità delle persone. Sarebbe stata una finestra più interessante del muro che si è costruito». 

 

(Paolo Nessi)