La riforma del lavoro potrebbe presto vedere la luce. Se il ministro Elsa Fornero, e le parti sociali scioglieranno il nodo degli ammortizzatori sociali e dell’articolo 18, forse un accordo potrebbe essere trovato già nella prossima settimana. Un periodo nel quale si ricorderà Marco Biagi, il giuslavorista protagonista di un’importante revisione del mercato del lavoro, assassinato dalle Brigate Rosse il 19 marzo 2002. A questo proposito domani a Roma si terrà il convegno “Progettare per modernizzare. Il pensiero e la Scuola di Marco Biagi dieci anni dopo”, organizzato dall’Adapt, associazione fondata dallo stesso Biagi e presieduta oggi da Michele Tiraboschi, il quale ci aiuta a capire quale sia l’eredità e la portata della riforma del professore bolognese.



Professore, come ha cambiato l’Italia del lavoro la riforma di Biagi?

Ha permesso un abbassamento complessivo della disoccupazione e in particolare una netta diminuzione di quella giovanile (quattro punti percentuali dal 2003 a prima della crisi economica). Ha reso evidente che il vero problema del mercato del lavoro italiano è la bassa occupazione e l’elevata inattività, in particolare di donne e giovani. Infine, ha anticipato un giudizio ora diffuso: che la complessità del nostro diritto del lavoro è il primo ostacolo a una maggiore e migliore occupazione. Le sue previsioni si sono avverate negli anni e molte delle soluzioni tecniche che aveva anticipato nel Libro Bianco del 2001 soprattutto, sono diventare realtà in questi dieci anni.



Può fare qualche esempio?

Basta pensare all’arbitrato e alla conciliazione, alla certificazione dei contratti di lavoro, all’integrazione tra sistema educativo e mercato del lavoro per il tramite del placement universitario, allo spostamento delle relazioni industriali verso il secondo livello, ecc…

La sua riforma è stata attuata totalmente o restava da fare qualcosa per completarla?

Biagi intendeva realizzare anche la riforma degli ammortizzatori sociali, di cui si discute molto oggi, coinvolgendo gli enti bilaterali. Una riforma in questo senso è stata fatta nel 2008, ma non completamente attuata. Se oggi si dà per assunto che l’intervento sugli ammortizzatori debba comportare una stretta connessione con le politiche attive, e in particolare con la definitiva affermazione che il godimento di un sussidio determina l’obbligo ad accettare un lavoro congruo oppure una formazione adeguata, lo si deve a lui.



Oggi il suo progetto sarebbe compatibile con le richieste europee e la necessità di riformare il mercato del lavoro in Italia?

Tutto il suo intervento è stato guidato dalla volontà di modernizzare in chiave europea il nostro mercato del lavoro. Non a caso l’Associazione per gli studi internazionali e comparati sul diritto del lavoro e sulle relazioni industriali da lui stesso fondata nel 2000, tuttora una realtà assolutamente originale nel panorama dell’Alta formazione italiana, prende il nome di uno dei pilastri della strategia europea per l’occupazione: Adapt, adattabilità. Si tratta di una parola che, insieme al termine occupabilità, è stata portata all’attenzione del dibattito italiano dallo stesso Biagi.

 

Articolo 18, ammortizzatori sociali, contrattazione, disoccupazione. Su questi temi, che sono i più dibattuti nel nostro Paese, quali erano le posizioni di Biagi?

 

Domani si terrà a Roma il tradizionale convegno annuale di Adapt che, proprio per ricordare la figura di Biagi a dieci anni dal suo assassinio, sarà l’occasione per ripercorrere i suoi scritti e la sua progettualità anche su questi temi. Marco Biagi ipotizzava un complessivo disegno di riforma del nostro diritto del lavoro – e quindi anche un superamento dell’articolo 18, l’incoraggiamento della contrattazione decentrata e la promozione di maggiore occupazione – per il tramite di uno Statuto dei lavori capace di leggere e regolare una realtà in continuo e frenetico mutamento, non più interpretabile con le categorie formalizzate negli anni ‘70. Questo progetto ha visto una sostanziale realizzazione nel discusso articolo 8 del DL 13 agosto 2011, n. 138.

 

La flessibilità, che sembra il risultato principale raggiunto dalla riforma Biagi, sembra oggi demonizzata. Come mai?

Marco Biagi ha sempre lavorato per trovare soluzioni che permettessero la maggiore occupazione possibile. La flessibilità non è determinata da nessuna legge, ma da un’inevitabile processo economico complessivo. Associare il nome di Biagi alla flessibilità “cattiva”, alla precarietà è una bugia e spesso chi la pronuncia mente sapendo di mentire, forse ancora condizionato da quel clima di odio e intolleranza che purtroppo ha circondato il suo lavoro.

 

A dieci anni dalla sua scomparsa, quale pensa sia l’eredità più importante di Biagi?

 

La stupirò, ma personalmente credo che il suo lascito più grande sia stato quello di aver trasmesso a me e ai tanti che lo hanno conosciuto o direttamente o tramite la sua Scuola un nuovo modo di fare università e ricerca, lontano dall’autoreferenza tipica dell’Accademia e vicino ai problemi concreti del mondo del lavoro.

 

(Lorenzo Torrisi)