Che resta da fare? La riforma delle pensioni è stata portata a termine e i margini d’azione, già un tempo risicati, si sono ormai dileguati del tutto. Una categoria, in particolare, è rimasta colpita dal provvedimento più delle altre, mentre neanche il decreto Milleproroghe è riuscita a porle in sicurezza. Si tratta degli esodati. La Fornero aveva promesso di riaprire la partita con un provvedimento ad hoc, qualcuno auspicava che già nel corso del dibattito sulla riforma del mercato del lavoro potessero essere ripresi in considerazione. Secondo Walter Passerini, esperto di previdenza sociale e vicedirettore della scuola di giornalismo Walter Tobagi intervistato da ilSussidairio.net entrambe le eventualità non si verificheranno. «Temo che il governo abbia un atteggiamento tutt’altro che favorevole. Anzitutto, c’è un problema di risorse. Posto, in ogni caso, che si possano trovare, saranno assorbite da altre voci. Saranno, infatti, usate per impostare la nuova struttura degli ammortizzatori sociali». Le criticità relative agli esodati, quindi, non saranno sanate. «Sono tra i 150 e i 200mila e non credo che saranno messi in sicurezza da nuove e ulteriori deroghe del governo». Resta da capire se non possano rientrare nella copertura prevista per gli ammortizzatori. Nell’incontro con le parti sociali si è parlato dell’istituzione dell’Assicurazione sociale per l’impiego (Aspi). In sostanza, un sussidio destinato a una platea estremamente ampia di lavoratori disoccupati. «Temo di no», afferma, anche in tal caso, Passerini. Tutto è stato causato da una colpa originale: «Gli esodati sono il frutto dell’eccesso di fretta e rapidità con cui è stata messa in campo la riforma». Conclusa la quale, quindi, tutti i giochi risultano chiusi. Eccetto, in realtà, una serie di operazioni che il governo potrebbe mettere in campo a costo zero, o quasi. «Si dovrebbe dar vita a una campagna di informazione generale, avvalendosi di Pubblicità progresso, del Segretariato sociale Rai e di tutte le forme di comunicazione di cui le amministrazioni pubbliche, quali l’Inps, dispongono. Occorre, anzitutto, spiegare ai cittadini che ciascuno di essi dovrà costruirsi la propria pensione prestando molta attenzione, nel corso della propria vita lavorativa, al conteggio dei contribuiti versati con il metodo contributivo». All’interno di tale campagna, uno strumento dovrebbe assumere un ruolo preminente: «Si tratta della busta arancione, annunciata dal ministro Sacconi nel 2009 e, fino a tre mesi, dal presidente dell’Inps. Dovrebbe contenere l’estratto conto dei contributi versati e la simulazione dell’ammontare dell’assegno previdenziale al raggiungimento dei requisiti, rebus sic stantibus».
Il tutto, secondo Passerini, avrebbe dei costi estremamente marginali. «Infine, andrebbe agevolata fiscalmente la previdenza complementare. Non si capisce perché solamente 5 milioni di lavoratori dipendenti vi aderiscano, se non per non ragioni di mancata conoscenza. Per molti lavoratori, specie i più giovani, potrebbe essere l’unica soluzione per evitare di ottenere un trattamento pensionistico estremamente ridotto».