Compaiono su alcuni siti di giornali autorevoli nuove bozze e ipotesi sulla riforma del mercato del lavoro, con nuove forme contrattuali. Guardandoli viene in mente il paradosso di Mao Tse Tung: “Grande è la confusione sotto il cielo, tutto va bene”. Ma in questo caso, si pensa al contrario, perché in materia di riforma del mercato del lavoro la confusione è già grande e non si fa che aggiungere confusione, se queste sono le ipotesi di lavoro. Si dice come premessa in questa bozza o ipotesi: “La riforma si propone, come obiettivi generali, di rendere più dinamico il mercato del lavoro, soprattutto a vantaggio delle fasce svantaggiate (a partire dai giovani), contrastando al contempo il fenomeno della precarizzazione del lavoro”. Sembra un proclama. Poi si va nella sostanza, ad esempio, come quando si parla di contratto a tempo determinato: “Il disincentivo all’uso del contratto a tempo determinato è perseguito, principalmente, tramite un incremento del relativo costo contributivo, destinato al finanziamento dell’assicurazione sociale per l’impiego (attuale assicurazione contro la disoccupazione involontaria”). Mario Mezzanzanica, docente della facoltà di statistica dell’Università di Milano Bicocca, ci aiutare a commentare queste prima bozze.



Che cosa ne pensa?

Al momento, considerando questa bozza o questa ipotesi, devo dire che resto perplesso. Si dice che si disincentiva il lavoro a tempo determinato aumentando il costo contributivo, il cui ricavo sarebbe destinato al finanziamento della nuova assicurazione sociale. È, a prima vista, una riforma senza soldi. Il tutto mi sembra una classica contraddizione in termini. Con dei rischi oltretutto, come quelli dei casi di sospensione, di fermo, nel caso di “rinnovo” di un contratto con la stessa persona, con la stessa impresa. Alla fine la parte più svantaggiata potrebbe essere quella più debole, cioè il lavoratore.



Lei ha visto anche le nuove ipotesi relative all’apprendistato?

In questo caso mi pare che non si faccia nulla. Il problema è che c’è un’ipotesi di difficile applicazione. Si dice che il datore di lavoro deve dar conto di una certa percentuale di conferme in servizio nel passato recente. Come fanno ad attestarlo le piccole e medie imprese? Io credo non ci riusciranno, o per lo meno sarà molto difficile. E questo è un problema, un grosso problema: le piccole e medie imprese potrebbero avere difficoltà per l’assunzione dei giovani. Si prevede inoltre di allungare i tempi del contratto di apprendistato. Faccio notare che in Lombardia la durata media è di 11 mesi e in Germania di un anno.



Facciamo un discorso più generale sui giovani, sulla cosiddetta flessibilità in entrata nel mondo del lavoro…

Il problema principale, soprattutto nei contratti a termine o in quello interinale, è di non farli saltabeccare troppo da una parte all’altra. In questo perdono la poca professionalità che già hanno. È la continuità in un mestiere che conferisce ai giovani maggior professionalità e aumento di prospettive di stabilizzazione.

Ci sono altre perplessità che vede in questa bozza o ipotesi?

Vedo che parlano del lavoro parziale, del part time obbligando a comunicazioni amministrative nell’ambito del part time verticale o misto. Il 90% di questo lavoro è part time orizzontale. Perché ci si sofferma su fatti “marginali”? 

Sembra che ci sia, al momento, anche di fronte a un testo come questo una voglia di stabilire regole nuove. 

Il vero problema è creare occupazione. Anche in un caso come questo, che è appunto ipotetico o solamente una bozza, si vede che c’è la voglia di introdurre regole per disincentivare certi contratti punendo quello che non va. Ma non si favorisce quello che invece va bene.

 

(Gianluigi Da Rold)