Dieci anni dall’omicidio di Marco Biagi e il suo lavoro, le sue intuizioni, la sua elaborazione sono ancora il cuore della riflessione riformatrice sulle politiche per il lavoro che coinvolge le forze sociali del nostro Paese. In questi giorni in cui è aperto il confronto su come rendere adeguati gli strumenti delle politiche del lavoro è utile tornare a leggere il Libro Bianco del ministero del Lavoro, che fu l’ultima opera completa a cui si dedicò Marco Biagi prima che un gruppo fanatico lo uccidesse sotto casa. Lo stesso indice del Libro Bianco è ancora indicatore attualissimo dei problemi che ha il nostro Paese, dei nodi che rendono il mercato del lavoro italiano arretrato e capace di scaricare sui più deboli i costi più alti. Un mercato che senza una decisa riforma si può definire un dei vinti.
Partiamo dai dati di base dell’occupazione presente in Italia. Abbiamo ancora l’obiettivo di portare il tasso di occupazione al 70% della popolazione in età lavorativa. Solo le regioni del Nord industriale sfiorano questo risultato (sono fra il 65% e il 68%). Nel Mezzogiorno restano livelli sotto il 60%. Dentro a questi numeri pesano ancora più profonde differenze per classi di età, per cui i maschi oltre i 50 anni lavorano di più in Calabria che in Lombardia. Ma non è indice di più lavoro, ma di ammortizzatori (prepensionamenti) che tolgono dal mercato forza lavoro al Nord, mentre il ritardato ingresso al lavoro che attanaglia il Mezzogiorno fa sì che apparentemente vi sia più occupazione over 50.
In questi anni è poi aumentata la difficoltà di inserimento lavorativo per i giovani fra 15 e 29 anni per cui solo ormai nelle regioni più ricche lavorano più degli anziani. Nel Sud, ma anche nel Centro del Paese, la crescita della disoccupazione giovanile ha portato a un’inversione dei tassi di occupazione fra giovani e anziani. E non è un aumento di scolarità, perché il tasso di abbandono scolastico resta intorno al 18% in tutto il territorio nazionale. Per quanto riguarda poi l’occupazione femminile, le “tre Italie” presentano differenze ancor più marcate, passando da alti tassi paragonabili ai paesi più avanzati nel Nord, a tassi fra il 30-40% man mano che si scende a Sud.
Allora la questione di dare ai lavoratori italiani regole, contratti, servizi e tutele pari ai lavoratori degli altri paesi europei resta ancora intatta. Servizi al lavoro pubblici e privati che siano valutati per l’efficacia con cui intervengono a sostegno dei periodi di difficoltà dei lavoratori, un sistema di ammortizzatori sociali finalizzato a sostenere il reddito delle persone perché restino attive nella ricerca di una nuova collocazione lavorativa, contratti che tutelino tutti i lavoratori senza creare divisioni fra precari e tutelati, trovano ancora nelle indicazioni della lezione di Biagi non solo ispirazione, ma indicazioni operative per migliore il nostro bisogno di relazione con la realtà, che è il fondo umano del lavoro.
Anche l’attenzione che in questo periodo c’è per la transizione scuola-lavoro e per l’apprendistato devono alla lezione di Biagi l’aver fatto emergere come siano le scuole (dalla formazione professionale alle università) le vere agenzie del lavoro che devono trovare nel rapporto con le realtà produttive del territorio una capacità di fare rete per realizzare fino in fondo il loro compito educativo.
La passione con cui Biagi ha affrontato questi temi, senza mai deflettere dal rigore scientifico di studioso, indica però una lezione che va oltre e attiene a una concezione del mondo che vede nel lavoro il punto principale in cui si afferma la persona, con il suo desiderio di relazione con la realtà e con gli altri. Qui sta la radice cristiana e sociale di un maestro che ha seguito la sua vocazione di essere utile agli altri senza badare al sacrificio di cui pure era paurosamente cosciente. Ha amato il suo lavoro fino in fondo e per questo ci ha insegnato come tutelare e amare il lavoro di tutti.
Questa grande lezione resta attuale per noi nel proseguire per dare al mercato del lavoro gli strumenti per garantire, con le sue regole, il rispetto e la tutela della persona. È stato per questo, lui che voleva un Paese che non avesse bisogno di eroi, un eroe della liberazione del lavoro.