La ritrovata compattezza del fronte sindacale, in questo frangente, ha nell’iniquità della riforma delle pensioni il suo comun denominatore. Dopo Cisl e Uil anche la Cgil prende le distanze dal provvedimento. Semplicemente, non andava varata. L’attribuzione all’Europa delle motivazioni che ne hanno giustificato la messa a punto è stato l’artificio con il quale far credere che non si potesse fare altrimenti. Una scusa per schermare l’inerzia di un governo incapace di intaccare privilegi e rendite di posizione. «Non c’era alcun bisogno di fare una riforma. Sia in Francia che in Germania si va in pensione molto prima, con assegni più alti e pagando meno tasse. E prendendo, nel corso della propria vita lavorativa, stipendi più alti», è il giudizio di Carla Cantone, segretario generale della Spi-Cgil. «Eravamo – continua – già in linea con tutti gli standard europei. Il sistema era economicamente sostenibile e, l’unica cosa che ci era che era stata chiesta, era l’eliminazione delle pensioni di anzianità. Che, in ogni caso, tra finestre e slittamenti, erano, di fatto, già state praticamente eliminate».



D’altronde, ricorda la sindacalista, «la disciplina era stata ulteriormente modificata nel 2007 e non è accettabile che, ogni 2 o 3 anni, gli italiani subiscano un cambiamento».  Una manovra incomprensibile, quindi? «È stata realizzata per recuperare risorse al fine di uscire dalla crisi e raggiungere il pareggio di bilancio nel 2013. Ma non c’era bisogno ci colpire le categorie più deboli. Era sufficiente introdurre una piccola patrimoniale, e mettere un tetto alle pensioni più alte». Nello specifico, si è determinata una serie di gravi problemi. «Tanto per cominciare, tanti lavoratori che avevano organizzato la propria vita nell’ipotesi di andare in pensione nell’arco di un anno dovranno aspettarne ancora 6 o 7. La questione dei precoci, inoltre, è stata risolta solamente in parte. I nati dopo il ’52, infatti, restano fuori dalle deroghe. Eppure, chi ha iniziato a lavorare attorno ai 15-16 non si capisce perché debba continuare a farlo fino ai 67 anni solo perché è nato in un certo periodo». Tra le categorie maggiormente colpite, ci sono, come è ormai noto, gli esodati. «Se si decide che permangono nel vecchio regime solo coloro che hanno maturato il diritto alla pensione entro il 31 dicembre 2011, in migliaia restano fuori». La questione, probabilmente, è sottovalutata. «Forse, non è abbastanza chiaro che nelle famiglie di queste persone si stanno consumando delle vere e proprie tragedie. Costoro avevano accettato di lasciare l’azienda dietro incentivo, con l’ipotesi di andare in pensione nell’arco di uno o due anni. Ora, non hanno un impiego e sono senza pensione. E dove lo trovano un lavoro, ad esempio, a 55 anni?». 



La Fornero, si è impegnata a riaprire la partita in un provvedimento ad Hoc. «Mi auguro – dice la Cantone – che mantenga la promessa. Finora, abbiamo assistito ad trattativa decisamente anomala». La sindacalista ci tiene a chiarire, infine, che anche chi è già in pensione sta subendo dei veri e propri torti. «Il blocco dell’indicizzazione all’inflazione delle pensioni pari ad almeno 3 volte il minimo farà sì che molti pensionati si trascineranno, nel tempo, una perdita di 3-400 euro all’anno. Noi avevamo proposto di bloccare la rivalutazione per i trattamenti pari ad almeno 5 volte il minimo».



 

(Paolo Nessi)

Leggi anche

SINDACATI vs IMPRESE/ Se Cgil, Cisl e Uil non si sono (ancora) accorti della crisiSINDACATI E POLITICA/ Così il Recovery può aiutare l'occupazione in ItaliaAMAZON USA, NO AL SINDACATO/ La sfida della rappresentanza nel capitalismo Big Tech