Governo e parti sociali ancora faccia a faccia sul tema della riforma del lavoro, anche se il raggiungimento di un’intesa appare ancora molto lontana. Il primo punta a rendere i licenziamenti economicamente meno pesanti per le aziende, mentre i sindacati hanno intenzione di proteggere in ogni caso l’articolo 18, anche se non sono ancora chiari quali e quanti siano i gradi di protezione. Le posizioni riguardo i diversi casi di licenziamento sono ancora molto contrastanti: la linea del governo prevede l’applicazione del cosiddetto “modello tedesco” nel caso in cui il giudice accerti la mancanza di una gusta causa dopo il licenziamento di un lavoratore avvenuto per motivi disciplinari. In questo caso, secondo la posizione espressa dal ministro Fornero, sarebbe proprio il giudice a scegliere se obbligare l’azienda a reintegrare il dipendente oppure garantirgli un risarcimento. «Una soluzione come quella che sembra prospettarsi, che riprende il modello tedesco, lascerebbe nelle mani dei giudici le sorti di molti lavoratori, che certamente avrebbero il vantaggio della terzietà, ma che dovrebbero anche fare i conti con un elemento di totale imprevedibilità rispetto alla decisione che verrà presa. Questo non va quindi d’accordo con le esigenze di certezza che chiedono entrambe le parti, cioè i lavoratori e le stesse imprese», spiega a IlSussidiario.net Francesco Daveri, docente di Scenari economici all’Università di Parma.



Su questo tema si registrano infatti le maggiori divergenze all’interno delle diverse sigle sindacali: la Cgil vorrebbe mantenere l’attuale disciplina prevista dall’articolo 18 che, una volta stabilita l’illegittimità del licenziamento, prevede l’immediato reintegro. La Cisl si è detta disposta ad accettare il “modello tedesco” proposto dal governo, mentre la Uil vorrebbe limitare la discrezionalità del giudice, mantenendo il reintegro solo nel caso di condanna dell’azienda. La posizione delle imprese è stata invece espressa dalla presidente di Confindustria Emma Marcegaglia: “La reintegra serve per i licenziamenti discriminatori, in tutti gli altri casi ci vuole un indennizzo. Si sta ragionando sui licenziamenti disciplinari, e noi pensiamo che in questo caso la regola deve essere l’indennizzo, mentre solo in casi del tutto eccezionali e di assoluta insussistenza ci può essere la reintegra”. A riguardo, anche il professor Daveri sembra d’accordo con la proposta del numero uno di viale dell’Astronomia: «Nella situazione attuale può di fatto accadere che il lavoratore si ritrova con un pugno di mosche,  dopo che un procedimento giudiziale ha considerato legittimo il licenziamento per motivi economico-organizzativi. Con un indennizzo, invece, almeno si trova qualcosa tra le mani, e si monetizza una situazione di disagio che in molti casi potrebbe terminare senza alcuna forma di risarcimento. Ogni situazione presenta quindi degli aspetti positivi e degli aspetti negativi, anche se lo status quo italiano è certamente meno vantaggioso di quello che si può trovare in tanti altri paesi europei».



La Cgil è però stata chiara, assumendo una posizione, continua il professor Daveri, «traducibile come un rifiuto di monetizzare i diritti e di attribuire un valore monetario a tutto. Credo però che, vista la situazione attuale, il fatto di vedersi attribuito un indennizzo può rappresentare una soluzione alternativa per il lavoratore, che può così riorganizzarsi con più di serenità e avere un certo orizzonte temporale per cercare di tornare nel mondo del lavoro. Questo non viene però accettato dai sindacati, convinti che possa portare a licenziamenti indiscriminati».



Chiediamo infine a Francesco Daveri se è vero che per le imprese in crisi risulterà più conveniente procedere a licenziamenti individuali anziché optare per quelli collettivi da 5 o più dipendenti: nel primo caso infatti basta una lettera, una comunicazione in cui, se non richiesto dal lavoratore entro 15 giorni, non devono neanche essere spiegati i motivi. Nel secondo caso, invece, l’iter burocratico si fa molto più complicato: «Il fatto che le imprese siano avvantaggiate a optare per il licenziamento individuale rispetto a quello collettivo incide anche sul morale aziendale – conclude Daveri -: un conto è cercare di uscire da una situazione di difficoltà in un contesto di solidarietà o comunque di condivisione insieme ad altre persone e ai sindacati, con l’obiettivo di far rispettare esigenze che sono collettive. Un altro conto è invece ritrovarsi in una situazione in cui si affronta una situazione così delicata da soli, che è certamente molto diversa e molto più complicata».  

 

(Claudio Perlini)