E’ una trattativa che non si riesce a comprendere come andrà a finire. Oggi, nel primo pomeriggio ci sarà il tavolo del confronto tra governo e sindacati, ma ieri sera, fino a mezzanotte, in una sorta di rodaggio si è girato intorno al problema, cioè la questione dell’articolo 18, che sta sempre in mezzo come un macigno. Si parla di tutto il resto, ma sull’argomento principale si continua a slittare, con la sensazione che alla fine, i sindacati (su questo punto uniti tra loro, forse l’unico punto) lascino la responsabilità al governo di prendere una decisone. E’ un classico caso di difendere un principio a oltranza e di lascare la “patata bollente” in mano ad altri.
In effetti appare strano che dopo una riunione durata tre ore, i leader sindacali siano usciti da una uscita secondaria per non rilasciare dichiarazioni ai giornalisti in attesa da ore e che, dalle indiscrezioni, il confronto di ieri sera sia stato incentrato sugli ammortizzatori sociali e quello dell’ordinamento dei contratti. Temi tutt’altro insignificante, si intende. Ma è ormai noto a tutti che l’accordo tra governo e sindacati, giusto o sbagliato che sia, ha il suo perno nell’articolo 18.
Dal sindacato non arrivano segnali positivi. Già nei giorni scorsi la leader della Cgil, Susanna Camusso, si era irrigidita e Luigi Angeletti, leader dell’Uil, giorni fa aveva detto “non scommetterrei su un accordo”. Oggi Angeletti si è un poco ammorbidito, ma tanto per gelare la situazione è subito partito il leader della Fiom, Maurizio Landini, che ha comunicato due ore di sciopero in caso di un accordo edulcorato sull’articolo 18, in sintesi il cambio tra indennizzo e reintegro sul posto di lavoro.
E’ un passaggio delicatissimo della vita del governo di Mario Monti. Se la riforma delle pensioni è stata “digerita”, come un male necessario, un antibiotico da assumere in una momento di grave febbre, se le liberalizzazioni e le semplificazioni non hanno convinto del tutto, la riforma del mercato del lavoro sembra il vero banco di prova del governo.
C’è chi vi attribuisce un ruolo troppo importante in quello che viene definita la “seconda fase”, cioè quella della crescita. Ma c’è anche il solito credito internazionale che viene meso in gioco in una situazione come questa. Si dice infatti che l’articolo 18 (parole del presidente del Consiglio un mese fa) allontanerebbe gli investimenti esteri dall’Italia. Forse è un ragionamento un po’ troppo semplicistico, bisognerebbe aggiungervi la confusione di una burocrazia pachidermica e il potere degli enti locali nel vietare insediamenti (o quanto meno di ritardarli all’infinito) industriali di aziende multinazionali.
In tutti i casi, non c’è dubbio che l’articolo 18 è visto male dagli investitori stranieri, non è compreso, non è lineare, dal loro punto di vista, nei rapporti delle relazioni industriali. Tenendo conto di tutto questo, anche il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha sentito il dovere di intervenire con alcune frasi che sembrano quasi un monito ai sindacati affinchè prevalga “l’interesse generale”.



Il presidente della Repubblica si è poi incontrato con Monti e il ministro del Welfare, Elsa Fornero. La dichiarazione e l’incontro al Quirinale fanno pensare che il negoziato tra sindacati e governo era arrivato a un punto critico, di autentica difficoltà. Difficile, dopo la riunione di ieri sera, quando si riuscirà a trovare un accordo e, soprattutto, se si riuscirà a trovare. E le parti sociali potrebbero essere di fronte a un bivio: lasciare tutta la responsabilità di una riforma a Governo e Parlamento, o rischiare una proposta su cui confrontarsi di nuovo.

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