«I dettagli della riforma del mercato del lavoro mi lasciano effettivamente perplesso. Nel caso di licenziamento disciplinare, l’imprenditore potrà sostenere che si è verificato un motivo oggettivo. Se questo poi non dovesse essere riconosciuto, secondo quanto prevede la nuova norma, è prevista solamente la tutela risarcitoria. Il lavoratore potrà certamente avere la possibilità di provare che si tratta in realtà di un provvedimento disciplinare, ma, come nel licenziamento discriminatorio, risulta spesso molto difficile. La cosa che quindi mi lascia molto perplesso è il fatto che chiaramente tantissimi imprenditori si rifugeranno nel licenziamento per motivi economici, ma questo è solo uno di altri punti che non convincono». Secondo Carlo Alberto Nicolini, avvocato e docente presso l’Università di Macerata, raggiunto da ilSussidiario.netsono diversi gli aspetti della riforma del mercato del lavoro proposta dal governo che non convincono, anche se il tema più traballante resta ovviamente quello riguardante le modifiche all’articolo 18.



Si parlava di modello tedesco, ma questa riforma con la Germania non ha poi molto a che fare: secondo i dettagli che emergono dal testo della riforma, sarà il giudice a dover stabilire il reintegro del lavoratore o un indennizzo, ma questo potrà accadere solo per i licenziamenti illegittimi per motivi disciplinari, quindi i cosiddetti “soggettivi”. Nel caso di licenziamento per motivi “oggettivi”, quindi quelli economici, il reintegro non è neanche previsto, e il giudice dovrà solamente quantificare l’indennizzo, compreso tra 15 e 27 mensilità. «Un altro punto che non mi convince è quello riguardante le imprese – continua a spiegare l’avvocato Nicolini -. Credo infatti che sia veramente irragionevole assoggettare le piccole imprese agli stessi oneri che gravano su quelle più grandi, nel caso in cui si verifichi un’illegittimità di licenziamento. Viene inoltre affidata al giudice, che di certo non è molto esperto di ciò che accade in un’azienda, la scelta di reintegrare o prevedere un risarcimento. Ma come si fa a imporre uno stesso risarcimento a una grande azienda e a un artigiano con due dipendenti? Credo quindi che possa verificarsi un effetto boomerang nei confronti delle piccole imprese, ma questa disciplina introduce anche tutta una serie di ripercussioni, di cui in parte si è già parlato e in parte invece no». L’avvocato Nicolini commenta poi il fatto che per molti la modifica all’articolo 18, così come è stata proposta dal governo Monti, aumenterà il numero e la durata delle cause in tribunale. 



«La vera “forza” dell’articolo 18 sta nel deterrente, – commenta Nicolini – ed è quindi una forza che non si misura con il numero delle cause in tribunale che avvengono in un anno. Mi spiego meglio: un imprenditore, davanti alla tutela che l’articolo 18 offre al lavoratore, probabilmente deciderà di non licenziare. Se questa tutela invece non dovesse esistere più, ecco che deciderà di fare a meno del dipendente, ma il numero di cause in tribunale non è un modo per misurarne l’efficacia. C’è poi un altro aspetto che nessuno ha ancora evidenziato: l’articolo 18 segna la separazione tra due regimi che sono molto importanti nel diritto del lavoro, in materia di prescrizione: i crediti del lavoratore si prescrivono in 5 anni, e se il lavoratore è tutelato dall’articolo 18, questi 5 anni decorrono dalla scadenza della singola mensilità di retribuzione. Ma se invece il lavoratore non è tutelato, i crediti non gli si prescrivono mai per tutto il corso del rapporto del lavoro. Inoltre, avere l’articolo 18 significa non avere quasi mai vertenze su questioni retributive che vanno oltre i 5 anni, mentre il dipendente del piccolo imprenditore che non si vede applicato l’articolo 18 può aprire una vertenza su differenze retributive anche per sempre». «I maggiori elementi della riforma che mi lasciano realmente perplesso – conclude Nicolini – sono senza dubbio la separazione verticale tra motivo oggettivo e soggettivo, e l’omologazione tra piccole e grandi imprese, tutti aspetti su cui certamente si dovrà trovare una soluzione».



 

(Claudio Perlini)