Nuovi aspetti che interessano la riforma del lavoro. Tra questi ecco la versione “mini” dell’Aspi (Assicurazione sociale per l’impiego) indirizzata in modo specifico ai giovani e a quei lavoratori cosiddetti “atipici”. In poche parole quelli più svantaggiati, i precari e tutti quelli che lavorando così poco nel corso di un anno accumulano pochissima anzianità lavorativa. Eppure anche l’arrivo della mini Aspi non fa contenti tutti, specie alcuni precari: da coloro che avranno diritto a questa copertura assicurativa sarebbero escluse diverse categorie, ad esempio coloro che hanno firmato un contratto a progetto (i Co.Co.Pro) e quelli che sono stati inquadrati in particolari forme contrattuali, per non parlare dei disoccupati. Nel dettaglio, i requisiti per accedere a questo ammortizzatore sociale richiedono tredici settimane lavorative in un anno. Secondo Emmanuele Massagli, Vicepresidente di Adapt, contattato da IlSussidiario.net, ci troviamo di fronte a un impegno da parte del governo condivisibile, che di fatto riprende un’intuizione del precedente esecutivo, ma praticamente rimasta inutilizzata.



Arriva la mini Aspi: c’è già chi la critica. Lei cosa ne pensa?

Considerati i criteri che sono stati previsti per l’Aspi, e quindi tenendo conto che anche le forze sindacali hanno dato indicazioni riguardo al fatto che anche i lavoratori più giovani non riuscirebbero ad accedere all’assicurazione per l’impiego, ritengo sia una mossa ragionevole.



Ci spieghi meglio il perché.

È  ragionevole e un pochino forse anche inevitabile che questo esecutivo si muova in questa direzione. Di fatto, si sta riprendendo  un’intuizione che già c’era da parte del precedente Governo. Era infatti stato previsto già negli anni passati una piccola seppur poco utilizzata forma di ammortizzatore sociale in deroga anche per i collaboratori a progetto o comunque per chi non avesse una vita lavorativa  estremamente levata. Si è dunque pensato a dei requisiti minori dell’Aspi anche per i lavoratori più giovani.

Ritiene dunque che chi critica la mini Aspi sbagli?



Mi sembrerebbe di sì. La logica di questa riforma, che ritengo condivisibile, è quella della natura ultima del rapporti sociali: uno riceve se ha versato. Se uno invece non ha versato o ha versato poco il fondo in cassa la sua posizione non permette di ricevere alcunché. Ma proprio per andare incontro a queste posizioni i requisiti richiesti sono di 13 settimane di lavoro in un anno invece che 52 nel biennio ed è qui la differenza. 

E anche la novità.

Vuol dire meno della metà di quanto era previsto. Tredici settimane in un anno sono tre mesi: è come se si dicesse che per coloro che hanno lavorato tre mesi ci sarà una forma seppur minima di ammortizzatore sociale.

Un intervento sensato dunque quello della mini Aspi.

A mio parere è  un intervento abbastanza logico anche perché l’alternativa era una richiesta di ammortizzatore sociale universale a spese solo dello Stato che andasse anche ai lavoratori che non hanno versato.

Era l’unica alternativa?

Non esattamente. In realtà si poteva decidere di farlo pagare tutto alle imprese, ma non dimentichiamo che questo intervento di riforma del lavoro è piuttosto pesante per le aziende. Soprattutto per i lavoratori che potrebbero essere interessati alla mini Aspi, che non hanno cioè contratti standard, questi fondi contrattuali flessibili sono un vantaggio. Aggiungere un’altra forma di pagamento eccessivo per coprire una qualsiasi forma di indennità avrebbe avuto un effetto davvero depressivo per il numero di contratti attivati.

Il precariato risulterà dunque davvero garantito?

La mini Aspi non coprirà ovviamente tutte le forme di precariato, è inevitabile, però va incontro a  queste forme di lavoro. Non dimentichiamo che il tentativo fatto dal precedente Governo per l’ammortizzatore sociale e per i Co.Co.Pro.  di fatto è stato poco utilizzato.

Come mai?

Per il tipo di requisiti richiesti che volevano mirare proprio al lavoratore più debole, quello con un’utenza prevalente e una durata di contratto estremamente basso e importo basso. Di fatto è una figura di precario che ha molto successo nelle parole dei media, ma a quanto pare non era molto diffusa perché coloro che avevano i requisiti per chiederla erano davvero pochi.