Licenziamento per motivi economici: uno dei nodi del nuovo articolo 18 che sta suscitando maggiori dibattiti. C’è confusione, ci sono dubbi in merito, tanto è vero che un esponente dello stesso governo che ha preparato questa riforma si è chiesto pubblicamente: “Cosa deve fare un lavoratore licenziato per motivi economici se ritiene di essere stato discriminato? Come tutelare il proprio diritto?”. La domanda appare alquanto giustificata visto che la nuova normativa al proposito prevede in caso di assenza delle ragioni economiche presentate dal datore di lavoro, al licenziato vada una indennità economica, ma nessuna possibilità di reintegro come invece succede adesso, praticamente in automatico. Secondo il professor Guido Canavesi, docente di Diritto al Lavoro all’Università degli Studi di Macerata, contattato da IlSussidiario.net, «l’indennità che il datore di lavoro è obbligato a pagare nel caso che il lavoratore dimostri la mancanza di motivazioni economiche dietro il suo licenziamento, non è irrilevante, e dovrebbe scoraggiare un uso indiscriminato della possibilità che apre la revisione dell’articolo 18″. In sostanza, dice Canavesi, non è ragionevole dire come sostiene qualcuno che se si toglie il reintegro partirà allora una ondata di licenziamenti.
C’è confusione su quanto significa il nuovo articolo 18. C’è soprattutto paura di un uso indiscriminato dell’arma del licenziamento. Lei che cosa ne pensa?
Cominciamo col dire che non è ancora stato formulata letteralmente la modifica all’articolo 18: abbiamo una proposta da parte del Governo di cui si conoscono le linee di fondo Si può dunque ragionare in termini generali perché di fatto non abbiamo ancora un dato preciso su cui ragionare.
Dunque si fa dell’allarmismo ingiustificato?
Diciamo che da quanto emerso in sede di trattativa l’articolo 18 resterebbe integralmente, così come resterebbero il reintegro nel posto del lavoro e il risarcimento del danno per i licenziamenti discriminatori.
E per i licenziamenti disciplinari?
Per i licenziamenti disciplinari quelli che sostanzialmente si definiscono di giustificato motivo e giusta causa la revisione dell’articolo dovrebbe prevedere l’alternativa tra il reintegro o il pagamento di una indennità attribuita dal giudice. Questa sarebbe una novità rispetto a quanto succede oggi, perché adesso il giudice se accerta la mancanza di giusta causa o giustificato motivo soggettivo prevede il reintegro e il lavoratore può chiedere oltre il risarcimento del danno anche l’indennizzo.
Si passa cioè dal reintegro diciamo automatico nell’ipotesi della mancanza di una giustificazione a una scelta del giudice.
Esatto, questa è l’effettiva novità che la revisione dell’articolo 18 comporta. Quanto poi possa produrre effetti quantomeno nell’immediato è difficile da dire.
Perché?
Perché evidentemente i nostri giudici sono abituati ormai a ragionare nel termine del reintegro automatico. È molto probabile che questa norma sia “di facciata”. Che poi abbia una sua effettiva applicazione, è tutto da vedere. Certamente adesso la norma ha un dato letterale diverso. Nel tempo potranno esserci degli effetti innovativi da questo punto di vista. Affrontiamo il nodo più problematico, il licenziamento economico. Su questo fronte la proposta del governo è quella di sostituire al reintegro un’indennità che fra l’altro è abbastanza consistente, non è un costo indifferente. Francamente non sembra sia ragionevole dire che adesso che c’è l’indennizzo al posto del reintegro le aziende possono partire a licenziare in massa.
In che senso?
I licenziamenti vengono fatti sulla base di ragioni oggettive o presunte tali. Si può contestare tale licenziamento, però non è serio dire che il datore di lavoro licenzia perché gli va. Non mi sembra sia ragionevole dire che se si toglie il reintegro allora parte una ondata di licenziamenti.
C’è chi dice che però la nuova norma provocherà un’impennata delle cause di lavoro, perché dietro al licenziamento economico adesso si può nascondere il licenziamento per motivi discriminatori senza possibilità di reintegro.
Si dice questo, cioè che se manca il giustificato motivo si potrebbe mascherare il licenziamento discriminatorio con un licenziamento economico. Certo, potrebbe essere possibile come potrebbe essere già possibile oggi, però oggettivamente non mi sembra essere una ipotesi di ampia utilizzazione.
Come mai?
Per vari motivi. Da un lato si rimane soggetti a un controllo giudiziale tanto che se i motivi del licenziamento fossero tendenziosi il giudice lo attesta. È difficile mascherare una volontà discriminatoria legata a una sola volontà di pregiudizio al lavoratore per ragioni sindacali, politiche, religiose o le altre ragioni discriminatorie, come un motivo economico. Peraltro un rischio che forse si corre già adesso.
Infatti, il rischio c’è come peraltro c’è già adesso.
Francamente non ritengo questa una ragione adeguata per non intervenire sull’articolo 18 e direi che i giudici hanno le possibilità di fare le loro verifiche.
Il governo ha detto che si farà garante in caso di abusi: che significa nel concreto?
Significa garantire un impegno politico che dorrebbe poi tradursi in atti concreti, in un atto normativo. Vuol dire che il governo terrà conto di questa osservazione nel momento in cui va a stendere il testo della riforma. Non vuol certo dire che il lavoratore si può rivolgere al governo. Il giudice dovrà valutare e intervenire su quello che prevede la legge.