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I dati economici più recenti hanno portato alla ribalta della politica e dell’opinione pubblica il preoccupante fenomeno della disoccupazione giovanile. Questo fatto, già allarmante di per sé, è ulteriormente aggravato dall’aumento di ragazzi – i cosiddetti Neet – che non solo non lavorano, ma non seguono nemmeno percorsi professionali o scolastici. Ciò trasforma quello che fino a poco tempo fa poteva considerarsi una patologia dell’emarginazione in un pericoloso fenomeno sociale.
Ma quali sono le principali caratteristiche di questo fenomeno? Quali fattori possiamo cogliere sempre più spesso guardando le giovani generazioni? Innanzitutto osservando i giovani si riscontra una debolezza, per non dire un’assenza, di curiosità e desiderio, che vengono sempre più frequentemente mortificati dalla rassegnazione circa il proprio futuro: fenomeno certamente molto diffuso nel mondo adulto, ma che per i giovani rappresenta una triste novità di questi ultimi anni.
Cresce inoltre nei ragazzi una radicata obiezione ad ogni forma di fatica. Non si tratta, come si potrebbe pensare, del rifiuto della fatica percepita come irragionevole, ma di una forma di aprioristico atteggiamento negativo nel rapporto con le cose che arresta lo slancio di “costruzione” tipico del mondo giovanile.
Se si restringe lo sguardo al campo lavorativo, emerge una fragilità del senso di responsabilità, tanto che perfino la scelta del lavoro non viene più percepita come una grande opportunità per la scoperta di sé – dei propri talenti e limiti – e come una possibilità di rendersi utili per il bene di tutti. Domina infine un grande disorientamento, una mancanza di criteri e di informazioni che possano aiutare a muoversi in modo adeguato nella costruzione del proprio percorso professionale e umano.
La questione centrale quindi è capire da dove nasca una siffatta generazione di giovani. Il cuore di un giovane originariamente è così colmo di desiderio, audacia, voglia di rispondere alla realtà, di decidere quale direzione seguire ogniqualvolta si trovi davanti a qualcosa che lo attrae, che viene da chiedersi a quale livello di nichilismo sia arrivata la proposta del mondo adulto per riuscire a creare un tale fenomeno di massa!
Ogni adulto, in ogni ambito della società, può domandarsi come sia possibile accompagnare i giovani nell’avventura della scoperta del mondo e della propria realizzazione personale. E può contribuire a sviluppare una trama di relazioni in grado di abbracciare e rilanciare la persona nell’individuazione del proprio volto e della propria strada, anche professionale. Riformare le leggi del lavoro per ridurre il dualismo tra chi è “dentro” e chi è “fuori” e aprire il mercato ai giovani rappresenta certamente solo un primo tassello nell’ambito di una più ampia e necessaria attenzione positiva nei confronti dei giovani. Un primo passo, ma decisivo per liberare energie nuove, nuove opportunità, che allo stesso tempo elimina un impedimento sistemico.
Se, al contrario, non siamo più in grado di mettere al centro della nostra attenzione i giovani significa che non sappiamo più nemmeno quale sia il nostro bene, che non abbiamo consapevolezza di quale sia il dinamismo del nostro cuore. Per questa ragione non siamo più capaci di educare: perché non abbiamo nulla da offrire di noi, della nostra esperienza.
Emergenza educazione: questa, probabilmente, è la situazione a cui dobbiamo far fronte per rimettere in moto i nostri giovani e, con essi, il nostro Paese!