In Germania, non c’è un governo tecnico. Tuttavia, qualche volta il governo ha incaricato un tecnico di trovare una soluzione a un problema delicato. Nel 2002, il Cancelliere Gerhard Schröder nomina una commissione di esperti che si occupi della riforma del mercato del lavoro. Peter Hartz, già direttore di Volkswagen, ne diviene presidente.
Alla fine, la commissione presenta un modello con un vocabolario nuovo. I tedeschi si stropicciano gli occhi. Che cosa vuol dire Jobcenter, Ich-AG, JobFloaters? Il nucleo cruciale della proposta è la fusione fra il sostegno per i disoccupati (Arbeitlosenhilfe) e il sussidio sociale (Sozialhilfe). L’obiettivo principale è la semplificazione amministrativa. Il secondo obiettivo è quello di dare un incentivo ai disoccupati per cercare più attivamente un lavoro. La riforma Hartz suscita un dibattito acceso e divide il partito socialdemocratico. Oggi, la sinistra tedesca è divisa in due. La Spd è contestata dal partito Die Linke. Uno dei suoi esponenti è Oskar Lafontaine, che era il ministro delle Finanze nel governo Schröder. Adesso, Lafontaine è il nemico numero uno per tanti socialdemocratici.
Dieci anni dopo quella riforma, il tasso di disoccupazione si è notevolmente abbassato. Nel quarto trimestre 2012, secondo l’istituto economico Iab, più di 29 milioni di persone avranno un lavoro regolare con una previdenza sociale. Sarà il numero più alto dal 1992. Che cosa ha causato questo “miracolo”? Rappresentanti dell’industria sono convinti che la riforma Hartz abbia svolto un ruolo importante. Rappresentanti dei sindacati ed economisti keynesiani non sono d’accordo. Che il tasso di disoccupazione si sia abbassato è l’effetto della crescita e, dunque, dello stimolo fiscale del governo Merkel durante la crisi – affermano quest’ultimi.
La riforma italiana del governo Monti assomiglia alla riforma Hartz, ma è più ambiziosa. C’è la semplificazione della tutela per i disoccupati. L’Assicurazione sociale per l’impiego (Aspi) assorbirà ogni forma di sostegno per chi perde il lavoro. Il sussidio sarà più uguale per tutti e verrà esteso agli apprendisti, agli artisti e ai dipendenti. Inoltre – e questa è una differenza molto importante rispetto alla riforma tedesca del 2002 – i licenziamenti economici saranno più facili.
La direzione della riforma Monti sembra essere giusta. La più grande debolezza del mercato del lavoro italiano è la separazione fra quelli che sono “protetti” e gli altri – troppo spessi i giovani – che non hanno un contratto fisso e non hanno la prospettiva di una carriera regolare. Che ci siano lavoratori di “Serie A” e di “Serie B” è uno scandalo. La situazione in Germania non è perfetta, ma è migliore.
L’articolo 18 è un elemento importante nel quadro generale. Sebbene la protezione contro i licenziamenti ingiustificati sia forte in Germania – il “Kündigungsschutz”?(la protezione contro il licenziamento) moderno è stato introdotto nel 1951 -, non esiste un obbligo di reintegrazione. In Germania non accade mai che un giudice del lavoro disponga la reintegrazione del lavoratore in azienda, salvo quando ritenga che sotto il motivo economico-organizzativo addotto dall’imprenditore ci sia una ragione di discriminazione.
L’articolo 18 è una norma che c’è soltanto in Italia. Secondo le aziende straniere che sono presenti in Italia, l’assolutezza dell’articolo 18 è una barriera forte per gli investimenti. Il meccanismo prevede un lungo processo giudiziario: la maratona con le tappe tribunale, in Corte d’Appello e poi con un eventuale giudizio ini Cassazione, è un incubo per un imprenditore e un grande rischio economico. Rendere l’articolo 18 meno pesante è l’approccio corretto.
Un cambiamento dell’articolo 18 non è però sufficiente. Per allargare la porta d’accesso per i giovani occorre costruire un ponte più solido fra la scuola e il mondo del lavoro. In Germania, l’apprendistato è una strada promettente. Berufsakademien e Fachhochschulen offrono un’educazione con un sistema duale (formazione teorica accompagnata da quella pratica anche in azienda). C’è una collaborazione molto stretta fra le imprese e le istituzioni scolastiche. L’idea di Monti di un contratto di apprendistato è quindi un passo avanti.
La riforma di Monti sarà un successo? L’esperienza tedesca della riforma Hartz suggerisce una certa cautela. La politica ha cambiato le regole dopo Hartz, la fusione fra il sostegno per i disoccupati e il sussidio sociale ha creato nuovi ostacoli amministrativi e l’effetto generale è controverso. Purtroppo, sul mercato del lavoro non ci sono soluzioni facili. Non esiste una ricetta sicura. Questo non vale solo per i politici, ma anche per i tecnici come Hartz e Monti.