«Una misura del genere già viene applicata, perché quando vengono effettuati licenziamenti per motivi economici, soprattutto durante le procedure di mobilità, molte volte accade che al lavoratore venga offerto un incentivo all’esodo. Il dipendente può anche non accettare, ma sapendo che dovrà correre il rischio della causa: se il giudice gli darà ragione prenderà un indennizzo, altrimenti non avrà niente. Infatti, quando ad esempio si fanno procedure di mobilità, si prevede espressamente che l’incentivo all’esodo sia subordinato a un atto di risoluzione consensuale con conciliazione in sede sindacale». Secondo Carlo Alberto Nicolini, avvocato e docente presso l’Università di Macerata, raggiunto da IlSussidiario.net, l’indennizzo automatico per il lavoratore, previsto nel modello tedesco, non andrebbe in realtà a ridurre il contenzioso. In Germania un’azienda, se intende adottare un licenziamento per giustificato motivo, deve immediatamente corrispondere al lavoratore una indennità. Se il lavoratore la accetta rinuncia automaticamente a impugnare il licenziamento. Questo non è attualmente previsto dalla riforma del lavoro proposta dal governo, e il dibattito è ancora aperto. Secondo Nicolini, la riforma pensata dal governo andrebbe «a produrre meno contenziosi, anche se probabilmente si assisterà a qualche licenziamento in più. L’esperienza insegna però che attualmente, su quei tipi di licenziamenti con tutela obbligatoria, non si va quasi mai davanti al giudice, perché con un’indennità bassa all’imprenditore non conviene andare in causa». Ma se l’indennità diventa più alta, anche fino a 27 mensilità come quanto annunciato nell’ultima versione della riforma del governo, «è chiaro che la situazione è diversa. Per fare un esempio, 1.500 euro al mese di un lavoratore, moltiplicati per 27 fanno oltre 40.000 euro, a cui vanno anche sommati circa 6-7.000 euro di spese per la causa. È chiaro quindi che la mancanza di una prospettiva di reintegrazione, in sede contenziosa induce molto spesso il lavoratore a essere più ragionevole. 



Come detto, c’è sicuramente una maggior facilità di licenziamento, ma bisogna anche tener presente che il lavoratore, non avendo la reintegra, può prendere sia il risarcimento che l’indennità di disoccupazione, mentre nel caso in cui venisse reintegrato quest’ultima dovrebbe essere restituita». In questo modo, ci spiega Nicolini, si spostano molto anche gli stessi equilibri della causa, «perché è chiaro che, se un lavoratore può cumulare l’indennità con il mero risarcimento, il vantaggio economico della trattazione sarà certamente maggiore». Resta comunque il fatto, conclude Nicolini, che «si potrà comunque ricorrere a una sorta di indennità automatica, e già oggi molti datori di lavoro, tornando al tema della tutela obbligatoria, offrono sei mensilità al lavoratore. Ma il vero problema è che l’indennità, per far stare “tranquillo” il lavoratore, deve essere più alta. Quindi, pur trattandosi di un meccanismo che può essere già attuato, il vero problema riguarda la quantificazione». 



 

(Claudio Perlini)

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