«La provocazione è questa: i Repubblicani continuano ad attaccare Barack Obama sul fronte dell’auto, accusandolo di aver sbagliato ad aiutare il settore automobilistico. La verità è che questo settore si è trasformato, la General Motors è tornata ad essere il numero uno al mondo e questo è stato possibile solamente grazie a una collaborazione tra Amministrazione, sindacati e management». È stato proprio il giornalista Mario Platero, capo della redazione statunitense de Il Sole 24 Ore e conduttore di America 24 su Radio24 in diretta da New York, a lanciare la provocazione attraverso un “cinguettio” su Twitter: “Discorso Obama sull’auto. Chi ha ragione? Obama? O i sindacati italiani in linea con i repubblicani di destra?”. Il giornalista ora spiega meglio il suo pensiero in questa intervista a ilsussidiario.net.
Cosa ha fatto quindi il sindacato dell’auto americano?
Ha acconsentito alla chiusura di vari impianti e a un ridimensionamento di diverse rivendicazioni fatte in precedenza, e questo ha portato a una rinascita del settore auto americano. Dal punto di vista interno si tratta certamente di un punto di forza per Barack Obama, e credo che i Repubblicani sbaglino a insistere su questo tema. Nel suo discorso, il Presidente ha ringraziato i sindacati per aver lavorato insieme al progetto di ricostruzione del tessuto industriale americano che non era più competitivo a livello internazionale.
Qual è allora la provocazione?
Che proprio questo spirito di collaborazione, di cambiamenti fattuali davanti alla crisi, accade in un momento in cui in Italia si discute di articolo 18 e in cui soprattutto alcune fazioni del nostro sindacato continuano a resistere a innovazioni riguardanti la flessibilità. Questa è a mio giudizio una dicotomia che andrà risolta, perché la storia ci insegna che se non si operano cambiamenti per adeguarsi alle nuove sfide del mercato è impossibile andare avanti.
Quindi chi ha ragione, Obama o i sindacati italiani in linea con i Repubblicani di destra?
Da un punto di vista dei risultati ha certamente ragione Obama. Guardiamo il settore auto americano, e in particolare Chrysler e General Motors: la prima ha venduto una gran quantità di auto, ottenendo un aumento percentuale molto forte nel corso del 2011, mentre la seconda è tornata ad essere, come dicevo, il numero uno del mondo scalzando la Toyota.
Quindi?
Nonostante questi dati, i Repubblicani si ostinano a portare avanti una causa che poteva avere ragione di esistere un anno fa, quando ancora non erano visibili i risultati. I Repubblicani attaccano Barack Obama per gli aiuti concessi al settore auto, ma si è trattato comunque di aiuti temporanei, che lo Stato ha concesso a tassi agevolati e che poi ha recuperato.
Avrà influito la campagna elettorale?
Certo, da quando è partita la campagna repubblicana è stato attaccato senza tregua qualunque aspetto dello statalismo, a cui peraltro sono in generale contrario: credo infatti che sia il mercato a dover fare la sua parte, ma quando ci si trova in una situazione di crisi è ovvio che lo Stato debba intervenire. I Repubblicani invece accusano Obama di aver in qualche modo trasformato l’America in un Paese socialista, ma si tratta di un’estremizzazione che può funzionare al massimo per uno slogan. Quando poi si arriverà alla resa dei conti, cioè alle elezioni, se il messaggio non cambierà si troveranno certamente in difficoltà, perché Obama non solo ha recuperato i soldi, ma il settore auto va anche molto meglio.
Oggi Marchionne sarà al Salone dell’auto di Ginevra. Secondo lei che cosa potrà dire?
Non credo che Marchionne cambierà il suo messaggio, perché anche lui è reduce da questa esperienza transatlantica: in America ha dialogato da una parte con il sindacato, riuscendo a raggiungere accordi importanti, mentre dall’altra, in Europa, continuano a esserci resistenze e rigidità.
Quali sono i maggiori rischi di queste resistenze?
Non si tratta di aiutare il “capitale” o il “padrone”, ma se non riusciamo a recuperare una certa competitività del tessuto industriale automobilistico rischiamo di impoverirci sempre di più, soprattutto ora che la General Motors ha fatto un accordo con la Peugeot, che in qualche modo ribalterà il contesto competitivo europeo da qui a un paio d’anni. È allora chiaro il messaggio di Barack Obama, sul quale si scontrerà poi con i Repubblicani, secondo cui il settore automobilistico americano, tra il diretto e l’indiretto, tutela una parte molto importante dell’economia del Paese. In America le varie parti si sono sedute a un tavolo e hanno fatto molto di più di quello che finora è stato fatto in Europa, facendo quindi capire un chiaro concetto: o ci si adegua, oppure si esce dal mercato, magari non subito, ma tra qualche anno.
Quali sono quindi le differenze principali tra sindacati italiani e quello unico americano?
Credo che il sindacato americano, dagli anni Ottanta in poi, abbia capito quali sono le sfide della globalizzazione e abbia quindi cominciato a ragionare in termini globali più che nazionali, trovandosi così una ventina di anni in avanti. Il nostro sindacato continua molto spesso a scontrarsi con temi che sono fuori dal tempo, perché, per esempio non si può impedire a un’azienda con un certo numero di dipendenti di non licenziare, perché questo le impedisce di essere flessibile. Il punto centrale, come ha detto lo stesso Monti proprio durante la sua visita in America, è che bisogna entrare in una mentalità in cui non c’è più la tutela del posto di lavoro, ma la tutela del lavoratore: quindi mentre il posto di lavoro può essere messo in discussione, va invece mantenuta la protezione e l’assistenza nei confronti del lavoratore.
(Claudio Perlini)