La prima batosta l’avevano ricevuta quando l’azienda aveva comunicato loro che li avrebbe esodati. Ingoiato il rospo, a malincuore avevano accettato di firmare un accordo che prevedeva di lasciare anticipatamente il proprio lavoro in cambio di un congruo indennizzo che, da lì in avanti, li avrebbe accompagnati alla pensione. La seconda gliel’ha data il governo Monti. Questa, anche volendo, non sono in grado di smaltirla. A un tratto è stata elevata significativamente l’età per poter accedere al trattamento previdenziale. Costoro, quindi, una volta esaurito l’indennizzo, si ritroveranno a dover attendere ancora fino a 5 o 6 anni prima di poter raggiungere i nuovi requisiti. In questo periodo, non avranno un salario, né l’assegno pensionistico. Il governo ha promesso che ci metterà una pezza. Tra le idee che vanno per la maggiore, c’è quella consentirgli di rientrare nell’Aspi (Assicurazione sociale per l’impiego). Si tratta della nuova indennità di disoccupazione contenuta nella riforma del mercato del lavoro che prevede un’erogazione massima di 1.119 euro al mese per tre anni.
Silvano Moffa, presidente della commissione Lavoro della Camera, spiega a ilSussidiario.net cosa ne pensa dell’ipotesi. «Il governo – spiega anzitutto – si sta impegnando per trovare le risorse necessarie a coprire il recupero degli esodati». C’è un primo problema. «Siamo di fronte all’incertezza numerica. Non si sa quanti siano. Il tavolo tecnico cui sta partecipando anche l’Inps sta cercando di definire un numero realistico. Mi auguro che ci siano forniti dei dati in grado di inquadrare il fenomeno». In effetti, si va da un minimo di 100mila a un massimo di 350mila, cifra, tuttavia, ritenuta dal ministero ragionevolmente esagerata. Venendo all’Aspi, «il suo utilizzo potrebbe rappresentare, di certo, una soluzione. Se, tuttavia, riformiamo gli ammortizzatori sociali all’insegna dell’universalità, applicandoli anche per categorie per le quali non erano inizialmente previsti, rischiamo – considerate le ristrettezze economiche in cui versiamo – di risolvere un problema e determinarne un altro».
La cosa migliore, secondo Moffa, sarebbe lasciare le vecchie regole. «La soluzione più rapida e doverosa consisterebbe in una deroga per applicare loro il regime ex ante e sanare una situazione di profonda iniquità». La questione della copertura, in realtà, sarebbe mal posto. «Le risorse ci sarebbero, e sono interne alla struttura pensionistica stessa; la riforma, infatti, prevede, per il 2013 un risparmio di 6 miliardi (a regime sarà di 20), da dove potrebbe essere prelevato l’accantonamento per gli esodati». Si ha, tuttavia, l’impressione che per il governo si tratti di una prova di forza. La soluzione prospettata, infatti, coinciderebbe con un’ammissione di colpevolezza. «Non c’è niente di peggio che riconoscere di aver commesso un errore e non porvi rimedio. Il ministro Fornero, del resto, ha indirettamente riconosciuto di aver compiuto sugli esodati una leggerezza. In casi come questi, ove si sono prodotte profonde iniquità, le prove di forza andrebbero contro gli stessi principi cui il governo ha annunciato a più riprese di volersi ispirare: il rigore e l’equità».
Non si capisce, del resto, cosa avrebbe da perdere un governo che si definisce tecnico se facesse marcia indietro rispetto all’errore commesso. «Nulla, tantomeno voti. Trattandosi di errore tecnico, infatti, correggerlo non minerebbe di certo la credibilità dell’esecutivo che, anzi, sarebbe intaccata dall’ostinazione a non porvi rimedio». E’ opinione comune che 1.119 euro sarebbero meglio che niente. Resta quindi da capire se il governo sia seriamente intenzionato a percorrere almeno questa strada. «Me lo auguro. Ricevo ogni giorno centinaia di mail di persone che si trovano in queste situazione disperata: hanno superato abbondantemente i 50 anni, si trovano fuori da ogni attività produttiva, hanno già messo mano ai propri risparmi e rischiano di andare incontro a una sostanziale indigenza. Con loro non possiamo, di certo, scherzare».
(Paolo Nessi)