Una questione di soldi, copertura, esigenze di bilancio; o, semplicemente, basse ragioni d’orgoglio, che impediscono di fare dietro-front, ammettere la svista clamorosa e porvi rimedio. Quali che siano i motivi che hanno proiettato migliaia di lavoratori in circostanze insostenibili, la situazione è drammatica. Stare senza salario e senza pensione equivale all’indigenza; almeno una volta che l’indennizzo erogato con la promessa di accedere al trattamento pensionistico nell’arco di pochi anni si sarà esaurito. Perché quella promessa non è più valida. Le regole sono cambiate a patti avvenuti e i pochi anni di attesa sono, in certi casi, più che raddoppiati. Per non lasciare la vicenda in sospeso in eterno, si sta facendo strada l’ipotesi di permettere anche agli esodati di fruire dell’Aspi (Assicurazione sociale per l’impiego). 1.119 euro al mese, per tre anni: Meglio che niente. O, forse, è meglio niente? Interpellato da ilSussidiario.net Alessandro Costa, ex dirigente Telecom e referente di migliaia di esodati, propende per la seconda ipotesi.
«Ci sono due aspetti che non accettiamo. Anzitutto, lo stipendio di un dirigente o di un quadro, è ben superiore all’indennità. Sarebbe ingiusto che chi ha versato nella propria vita lavorativa fior di contributi, ricevesse il medesimo trattamento economico di chi ne ha versati molti di meno. Andrebbe, quindi, anzitutto, diversificata sullo stipendio». Non solo. «Nel calcolo della pensione di chi ha un contratto telefonico, l’ultimo anno di retribuzione ha un’incidenza particolare. Occorre, quindi, capire se l’Aspi, se si intendesse applicarla anche agli esodati, potrebbe essere contemplata per il computo della pensione e, di conseguenza, inficiarne l’entità». Proprio ieri, il gruppo rappresentato da Costa, ha mosso una proposta comune a gran parte degli attori dell’attuale dibattito: «Abbiamo chiesto di mantenere le regole precedenti alla riforma della Fornero; non vediamo altre soluzioni possibili, di fronte a una situazione in cui sono stati cambiate a posteriori le regole che sottendevano ad un patto ben preciso». Anche il presidente della Commissione lavoro, Silvano Moffa, chiedeva su queste pagine una deroga per tutti i lavoratori esodati, la cui entità verrà forse comunicata oggi stesso al ministro Fornero. A tal proposito, Costa ci tiene a fare una precisazione: «I “veri” esodati sono 7mila, 5mila dei quali sono postali. Gli altri hanno preso il nome di esodati, ma si tratta di persone che erano in mobilità. La differenza consiste nel fatto che il lavoratore in mobilità continua ad accumulare l’anzianità perché formalmente è in servizio. Il lavoratore esodato, invece, non ha più niente, deve pagarsi i contributi volontari».
Sta di fatto che, nel numero “ufficiale”, rientrano anche coloro che avevano sottoscritto un accordo singolare con la propria azienda privo dei crismi dell’ufficialità, quali il coinvolgimento dei sindacati nazionali e del ministero del Lavoro. In ogni caso, per capire cosa queste persone concretamente stiano passando, Costa rivela la sua personale esperienza: «Io sono del ’53, ho 58 anni, 38 anni e mezzo di contributi e sarei dovuto andare in pensione l’1 febbraio del 2016. L’incentivo dell’azienda copre 49 mesi, circa 4 anni. Con la riforma della Fornero, potrò andare in pensione solo l’1 dicembre del 2020. Ho avuto un inasprimento di 4 anni a 9 mesi in più». In questi 4 anni e 9 mesi, Alessandro Costa non avrà un salario, non avrà la pensione e avrà, probabilmente, esaurito l’indennizzo.
(Paolo Nessi)