Il limbo in cui centinaia di migliaia di lavoratori resteranno in sospeso da qui alle prossime decisioni del governo è materia su cui i sindacati hanno chiesto al ministero Fornero un incontro urgente. Per il momento, parte degli esodati, dei lavoratori in mobilità e di quelli che aderiscono a fondi di solidarietà, sono stati salvati. Tutti gli altri, no. Non è certo quanti siano, né cosa la compagine governativa intenda fare per garantire loro, nei prossimi anni, di mantenersi in maniera decorosa. «Occorre, anzitutto, fare chiarezza sui numeri. E l’Inps ha possibilità di farlo. In seguito, sarà sufficiente – e necessario – fare una norma che preveda che chi ha sottoscritto degli accordi collettivi o individuali di fuoriuscita dal lavoro, prima dell’entrata in vigore della nuova disciplina, sia soggetto alle vecchie regole», afferma, raggiunto da ilSussidiaio.net Domenico Proietti, Segretario confederale della Uil con delega alle Politiche fiscali e previdenziali. Il governo sostiene che quelli che, attualmente, si trovano senza salario e senza pensione siano circa 65mila. Nei prossimi 4 anni si troveranno in un’analoga situazione altri 130mila. «Tanto per cominciare – sottolinea Proietti – abbiamo deciso di esimerci dal balletto dei numeri. E’ irrispettoso per le persone coinvolte. Siamo, in ogni caso, convinti che i calcoli dell’Inps siano, al momento, approssimativi e che si debba compiere uno sforzo ulteriore per accostarsi il più possibile a una definizione esatta del loro numero».
Detto questo, la richiesta del sindacato è precisa: «Il governo ha previsto per i primi 65mila una deroga che consenta di mantenere le vecchie regole. Per gli altri, in sostanza, valuterà di volta in volta. Ebbene: anche per tutti gli altri, una volta fissato con precisione quanti sono, si deve stabilire – con un’apposita norma – che le regole precedenti alla riforma valgano fin da subito». Del resto, le risorse ci sono. «Con la riforma previdenziale si sono accantonati decine di miliardi di euro. Basti pensare che quando la nuova disciplina andrà a regime, nel 2018, è previsto un risparmio pari a 20 miliardi all’anno». Altresì, è possibile recuperarle altrove. Anzi, doveroso. «E’ inaccettabile che dopo mesi di dibattito la politica non sia ancora riuscita a tagliare i propri costi. Non mi riferisco solo al numero dei parlamentari, o alla riduzione del loro stipendio».
Ecco dove colpire: «Si dovrebbe procedere al riordino delle Provincie, conferendo alcune competenze attribuite contemporaneamente anche al Comune e alla Regione a un solo livello di governo (quali l’assessorato allo sport o all’ambiente); non si capisce, inoltre, perché ciascuna amministrazione cittadina debba disporre della propria municipalizzata, senza che il loro insieme si possa accorpare sotto l’egida della Regione; è necessario, inoltre, fare di più sul fronte della lotta all’evasione; si proceda, poi, a una selezione accurata delle consulenze». Un’altra misura, infine: «Riteniamo che la politica sia un’attività fondamentale per il Paese; e che, tuttavia (senza cedimenti all’antipolitica), debba essere riformata. In tal senso, ridurre i finanziamenti e destinarne quota agli esodati rappresenterebbe un importantissimo segnale».
I sindacati sottoporranno alla Fornero anche la questione dei ricongiungimenti onerosi. Ovvero: chi, nel corso della propria vita lavorativa avesse afferito a due o più casse previdenziali, al momento di andare in pensione si troverebbe a unificare i contributi sotto un’unica insegna. Tale operazione può arrivare, in certi casi, a costare fino a 100mila euro, secondo alcune stime anche fino a 200mila. «Le cifre, effettivamente, sono queste. Noi chiederemo, semplicemente, che siano salvaguardati i diritti delle persone. Non ci dovrà essere, specie e parità di retribuzione, nessun aggravio ingiustificato. Né, ovviamente, alcune privilegio». I costi aggiuntivi, oltretutto, sono frutto di un banale errore in sede legislativa. «Furono gli stessi relatori del provvedimento ad ammetterlo».
Non porvi rimedio, a sua volta, è frutto di un atteggiamento scorretto da parte del governo. «Sarebbe auspicabile che su questi temi l’esecutivo si confrontasse realmente con le parti sociali, esperte in materia e in grado di fornire ausilio anche sul piano tecnico». La concertazione è vista come il male assoluto. «Eppure, lo stesso Ciampi ha di recente ricordato che, ai tempi in cui fu premier, era considerata un valore. Ma è invalso nel sentire comune l’idea infondata secondo cui essa preveda il diritto di veto». Le cose non stanno così. «Nessun diritto di veto. In ultima analisi, decidono sempre il governo e il Parlamento. Si tratta semplicemente di una condivisione dei problemi che, laddove è stata osservata, ha determinato sempre effetti benefici per le persone rappresentate ed ha evitato di incappare in grossolani errori».
(Paolo Nessi)