«È aumentata la disoccupazione complessiva, mentre è scesa, seppur restando piuttosto stabile, l’occupazione. È aumentata soprattutto di 0,9 punti percentuali in variazione congiunturale la disoccupazione 15-24 anni, quindi quella giovanile. Da un certo punto di vista vediamo confermato il trend osservabile ormai da oltre un anno: in particolare, dal settembre 2011 a oggi abbiamo praticamente sempre assistito a un innalzamento della disoccupazione giovanile». Emmanuele Massagli, Vicepresidente di Adapt, commenta in questa intervista per IlSussidiario.net i dati comunicati oggi dall’Istat, che mostrano un tasso di disoccupazione giovanile che a febbraio è arrivato al 31,9%, in aumento di 0,9 punti percentuali rispetto a gennaio e di 4,1 punti su base annua. Il tasso di disoccupazione generale è invece al 9,3%, in rialzo dello 0,2% rispetto a gennaio e di 1,2 punti su base annua: si tratta del tasso più alto da gennaio 2004. «Questi dati portano a chiedersi – continua Massagli – se interventi come quello attuale del governo siano funzionali ad aumentare il numero degli occupati. Il dato riguardante i giovani dai 15 ai 24 anni può essere in realtà un poco fuorviante per l’Italia, perché molti ragazzi a 24 anni sono ancora coinvolti in un percorso universitario. Sarebbe quindi molto importante avere anche il dato dei cosiddetti “giovani adulti”, cioè di coloro dai 25 ai 29 anni, per capire in che modo si sta muovendo la variazione di disoccupazione in questa fascia di età».
La domanda che quindi dobbiamo porci è essenzialmente una: «Rispetto a questa fascia di popolazione, diciamo dai 15 ai 29 anni, questa riforma va davvero nella direzione giusta? Il governo sta scommettendo su una precisa logica: diminuire la rigidità in uscita per aumentare il numero degli occupati, eppure questi dati fanno capire quanto non sia possibile spiegare tutto in questo modo. Anzi, molti studi mostrano chiaramente come così sia possibile spiegare solamente una minor parte di questo tasso di disoccupazione, mentre la maggior parte è dovuto a carenze formative, immobilità del mercato del lavoro e all’assenza di politiche attive nel rapporto scuola-lavoro».
Emmanuele Massagli ci parla di un dossier elaborato recentemente da Adapt, che «ha mostrato come su tutti gli atenei italiani, solo una trentina abbiano attuato la legge di questa estate che obbligava le università a pubblicare gratuitamente i curriculum dei propri studenti sui propri siti internet per renderli maggiormente disponibili alle imprese. Questo significa che per tutte quelle università che non lo hanno fatto, un’impresa che è alla ricerca di neo laureati deve pagare il servizio o fare richieste specifiche per potere vedere quali ragazzi hanno un profilo coerente con quanto cercano. Sono piccole cose, ma sommate tutte insieme creano un ulteriore ostacolo nel mercato del lavoro che rende difficile l’inserimento dei giovani».
Secondo Massagli, inoltre, il dato realmente più preoccupante tra quelli diffusi dall’Istat è quello riguardante «la disoccupazione di lunga durata: è naturale che un giovane passi da periodi di occupazione ad altri di disoccupazione, a differenza di un adulto, perché sta facendo diverse esperienze alla ricerca del lavoro più giusto per le sue capacità. Per cui il problema non è tanto la variazione del tasso di disoccupazione mese per mese, ma la quota di tutti quei giovani che non riescono a trovare lavoro da almeno 6/12 mesi. Se un ragazzo intorno ai 25 anni non riesce a trovare lavoro per un anno, questa “cicatrice” resterà certamente sul suo curriculum, rendendolo sempre meno attraente per le imprese. Si tratta quindi di un problema sociale molto importante e assolutamente da risolvere».
«Sono mesi che commentiamo dati negativi, – conclude Emmanuele Massagli – e ormai le “ricette” sono state elencate tutte. Quindi è bene che chi deve decidere, in questo caso governo e parti sociali, ne scelga una e punti su quella, senza aver più paura di superare antichi veti o di riscrivere le regole. Arrivati a questo punto, dopo mesi che si dicono sempre le stesse cose, si rende necessario un intervento di riforma drastico».
(Claudio Perlini)