Per il sentire comune le “cose vanno sempre peggio”. In una triste sintonia, pare che questa volta il pensiero comune e quello economico coincidano. Insomma, anche il sentimento, in tal caso, ha una giustificazione tecnica. A riprova di ciò, ci sono gli ultimi dati dell’Istat che rivelano l’ennesimo record negativo: la variazione delle retribuzioni contrattuali orarie a marzo rispetto a febbraio è nulla, su base annua è del +1,2%. Ovvero, la crescita tendenziale è la più bassa almeno dal 1983, quando hanno avuto inizio le serie storiche. Dove andremo a finire? IlSussidiario.net lo ha chiesto a Luca Solari, docente di organizzazione aziendale all’Università degli Studi di Milano. «La crisi, ora, si sta rivelando in tutta la sua forza. I dati sulle retribuzioni denotano l’impossibilità di contrattare condizioni migliorative, mentre le imprese sono in crisi. Contestualmente, i meccanismi che hanno contribuito a una gestione morbida della crisi, quali gli ammortizzatori sociali, man mano che il tempo passa sono sempre meno in grado di contenerne gli effetti».
Frattanto, niente di quel che andava fatto è stato fatto: «Il debito pubblico in questi due anni non è stato abbattuto, le imprese non sono state ristrutturate, mentre la riforma del mercato del lavoro non è altro che un patchwork realizzato sulle base di semplificazioni che prescindono dall’economia reale». Le previsioni del professore sono tutt’altro che rosee: «Nel prossimo anno ci giochiamo la coesione sociale. Siamo realmente vicini a tornare a un contesto simile a quello della stagione degli anni ’70, quando l’impoverimento aveva superato i livelli di guardia, e la coesione sociale, anche per ragioni ideologiche, fu messa seriamente alla prova». D’altro canto, non si comprende né il senso, né i reali obiettivi di misure quali l’aumento significativo dell’imposizione fiscale su più fronti, l’introduzione di nuove gabelle, l’aumento dell’età pensionabile o la generazione di fenomeni quali gli esodati. «I provvedimenti, presi singolarmente, hanno come unica giustificazione la necessità di far comprendere alle istituzioni finanziarie che si sta definendo un certo tipo di società, improntata al rigore dei bilanci; il problema è che è del tutto assente una visione politica». Gli italiani non possono accettare di non conoscere in che direzione stanno andando. Tanto più che secondo i dati più benevoli la stangata di fine dell’anno ammonterà almeno a 2500 euro a famiglia. «I cittadini avrebbero potuto accettarla, ma solo a certe condizioni; se al contempo il governo avesse dimostrato di avere un’idea di Paese e di cercare di perseguirla». Così non è stato.
«Pressoché tutti i tecnici – persone indubbiamente stimabili sul piano professionale – provengono da un mondo che ha ben poco a che fare con quello reale, incentrato sulle buone relazioni e sui rapporti giusti; essi, inoltre, rappresentano pur sempre il portato di quel sistema che ci ha condotto dove siamo oggi e di una società che fa riferimento alle lobby. Se esse siano la finanza o i sindacati, poco importa; sta di fatto che costoro sono la rappresentazione, ammantata di tecnicismo, delle contraddizioni della nostra società. Possiamo, quindi, chiedere forse a loro di sciogliere il nodo del rapporto tra le diverse corporazioni di cui loro stessi hanno beneficiato?».
Eppure, le lobby esistono anche negli altri Paesi. «Ma sono evidenti, dichiarate – replica Solari -, anche in termini di finanziamento ai partiti. Il che semplifica il sistema. Chi fa riferimento a una lobby, quando agisce ammette di farlo in nome e per conto del proprio gruppo d’interesse. Non si nasconde dietro ad affermazioni del tipo: “Io non rappresento gruppi particolari, ma tutti gli elettori”».
(Paolo Nessi)