Si parte. L’articolo 7, comma 7, del Decreto legislativo n. 167 del 14 settembre 2011 (Testo Unico dell’apprendistato) ha introdotto un regime transitorio di sei mesi per il recepimento e l’applicazione delle novità normative in materia di apprendistato. Oggi, 25 aprile 2012, si conclude questa stagione “di passaggio”, essendo il TU entrato in vigore il 25 ottobre 2011. Da qualche ora, quindi, l’unica disciplina applicabile è quella contenuta nei sette articoli del decreto citato.
Ciò vale per le tipologie di apprendistato che necessitano di un intervento della contrattazione collettiva o delle Regioni per essere operative: primo e secondo livello. Non è così, seppur parzialmente, per l’apprendistato di terzo livello, per il quale il TU chiarisce che «in assenza di regolamentazioni regionali l’attivazione dell’apprendistato di alta formazione o ricerca è rimessa ad apposite convenzioni stipulate dai singoli datori di lavoro o dalle loro associazioni con le Università, gli istituti tecnici e professionali e le istituzioni formative o di ricerca».
Alle imprese interessa in particolar modo (se non esclusivamente, purtroppo) l’applicazione del contratto di apprendistato professionalizzante o di mestiere. Da quali contratti collettivi sono state recepite le novità? Sebbene “al pelo”, tutti i CCNL (con la sola, ma importante, eccezione degli artigiani, in ritardo di qualche giorno, ma prossimi a chiudere l’intesa) hanno regolato il nuovo apprendistato. Le parti sociali hanno volontariamente aspettato di capire meglio gli spazi e le direzioni di intervento della nuova riforma prima di mettersi al tavolo per definire la nuova disciplina del professionalizzante.
L’apprendistato è una delle pochissime tipologie contrattuali che escono rafforzate dal processo di riforma: hanno quindi tutti proceduto con la conclusione dei contratti. Ciò di cui c’era necessità era infatti la regolazione collettiva, poiché anche in assenza dell’offerta formativa pubblica finalizzata alla acquisizione di competenze di base e trasversali (per un massimo di 120 ore, dice sempre il TU) trovano immediata applicazione le regolazioni contrattuali. Non a caso, a oggi, come anticipato, i contratti sono stati firmati per tutti i settori, mentre le Regioni che hanno regolato la formazione pubblica secondo la nuova disciplina sono solo quattro: Abruzzo, Campania, Lazio e Valle d’Aosta (informazioni più analitiche sono reperibili su www.bollettinoadapt.it).
L’intenzione della riforma di settembre e, quindi, a cascata (si spera) di queste intese, è quella di rendere maggiormente fruibile e più semplice questa tipologia di apprendistato, spesso utilizzata “al margine”, ovvero in forza del vantaggio normativo ed economico che porta all’imprenditore, ma sottovalutando (se non proprio evitando) il valore della formazione. Il successo di misurerà certo sulla diffusione numerica di questi contratti, ma anche sull’effettività e spendibilità concreta della componente formativa. Senza formazione, come accaduto fino a oggi, non è apprendistato: è contratto di inserimento travestito.
Qualche parola va però spesa anche per gli altri due livelli. L’avvio dell’apprendistato per la qualifica e il diploma professionale di cui all’art. 3 era condizionato all’accordo in Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome. L’accordo, con gradita sorpresa, è stato raggiunto ampiamente entro i termini: il 15 marzo 2012. Tocca ora alle singole regioni dare seguito al documento.
L’apprendistato di alta formazione e ricerca (articolo 5) era invece immediatamente attivabile per quanto riguarda la tipologia “di ricerca” e quella di “alta formazione” qualora la Regione non avesse provveduto a regolamentare l’istituto secondo la vecchia disciplina. In caso contrario è necessario entro domani il recepimento della riforma che superi la regolamentazione ex articolo 50 della Legge Biagi.
In un momento storico come questo, attraversato da ipotesi di riforma di forte discontinuità con le politiche del lavoro dell’ultimo decennio, è ora fruibile non una teoria o una chiacchera giuslavoristica, ma una modalità concreta di ingresso dei giovani nel mercato del lavoro che tutte le istituzioni e le parti sociali hanno definito migliore e più sicura. La stessa bozza illustrativa della riforma Fornero definisce l’apprendistato il «canale privilegiato di accesso dei giovani al mondo del lavoro», parte essenziale di quel percorso prevalente caratterizzato, nelle intenzioni dei tecnici di Via Veneto, da apprendistato + contratto a tempo indeterminato.
La speranza è che, ancora una volta, non ci si ritrovi in queste pagine, tra qualche anno, a commentare la sola diffusione del contratto di mestiere, stupendosi della mancata affermazione delle tipologie di apprendistato più genuine, ovvero quelle che rilasciano anche un titolo di studio, sia esso d’istruzione secondaria o terziaria.
Se per l’apprendistato professionalizzante il nuovo Testo Unico e l’odierna entrata in vigore delle novità attese sono una nuova possibilità di crescita e perfezionamento dell’istituto, per l’apprendistato per la qualifica o il diploma professionale e per l’apprendistato di alta formazione e ricerca la nuova normativa ha il suono dell’ultima chiamata.
Visti i risultati che queste modalità di apprendistato hanno all’estero, c’è da augurarsi che qualcuno risponda “presente” all’appello, perché davvero è questo lo strumento più potente in questo momento in mano a decisori politici, enti di formazione e parti sociali per contrastare dispersione e abbandono scolastico, disallineamento formativo e professionale e, quindi, la disoccupazione e l’inattività giovanile.