Una certa idea ce l’eravamo fatta e che il quadro fosse cupo s’era intuito. Non così cupo, però. Suo malgrado l’Istat, ancora una volta, registra dati poco incoraggianti. In Italia, quasi la metà dei pensionati percepisce meno di mille euro al mese. Nel 2010 7,6 milioni di essi, il 45,4% del totale, hanno ricevuto un assegno di poco inferiore. Tra questi, ben 2,4 milioni ha preso meno di 500 euro. Silvano Moffa, presidente della Commissione Lavoro della Camera, commenta per ilSussidiario.net le rilevazioni dell’Istituto nazionale di Statistica. «L’Istat ha certificato una situazione tristemente nota; siamo di fronte a un’accentuazione delle difficoltà del Paese, mentre l’area che versa in particolare sofferenza sociale si incrementa e aumenta». Contribuiscono alla gravità dello scenario una serie di fattori: «Oltre alla riforma delle pensioni che ha trasferito nel tempo la possibilità di accedere al trattamento previdenziale, la disoccupazione giovanile è a livelli record, mentre le imprese non riescono a delineare efficacemente linee di sviluppo».
Di recente, l’Istat ha portato alla conoscenza del grande pubblico un’altra serie di dati decisamente poco rassicuranti. «Ha attestato l’inadeguatezza del salario medio del lavoratore italiano rispetto agli standard europei; e, il fatto che, oltre ad avere gli stipendi più bassi d’Europa, abbiano raggiunto il livello più basso dal 1983». Per inciso, va detto che l’esigua entità di certi assegni pensionistici è colpa, in parte, di un sistema che per anni ha chiuso entrambi gli occhi su fenomeni quali l’elusione fiscale o il lavoro in nero. «Molti cittadini con le pensioni minime sono lavoratori che, per tutta la vita, non hanno versato contributi».
Non solo: «C’erano anche categorie con aliquote talmente basse da non poter accantonare una pensione dignitosa. Pensiamo, ad esempio, al settore del commercio o ad alcune componenti di quello edile». E pensare che l’Inps ha sborsato, nel 2010, la modifica cifra di 258,5 miliardi di euro (+1,9% rispetto al 2009), quando il risparmio derivante dalla riforma delle pensioni ammonterà, a regime, a soli 20 miliardi l’anno. «I due dati stridono fortemente e sono la riprova del fatto che la riforma, salvo il sacrosanto ricorso al sistema contributivo, andava fatta con tutt’altri criteri; a partire da una maggiore gradualità, che avrebbe impedito fenomeni iniqui quali gli esodati».
Tornando alle valutazioni sulla situazione, presa nel suo insieme, c’è poco da stare allegri: «In Italia, in sostanza, sono bassi gli stipendi e basse le pensioni. Questo, evidentemente, mortifica la capacità di tenuta sociale complessiva del Paese». Come se ne esce? «Da un lato, occorre imprimere un’accelerazione a quelle misure volte a rilanciare la crescita e lo sviluppo; dall’altra, cercare di ritoccare al rialzo i salari, attraverso forme di defiscalizzazioni e di abbattimento del cuneo fiscale per le imprese. Ricordiamo che salari più alti vuol dire, in futuro, pensioni più alte».
(Paolo Nessi)