Inizialmente passata in sordina, la vicenda delle pensioni degli esodati sembra esser stata finalmente inserita tra le priorità del governo. Si tratta di lavoratori che scontano la frettolosità con cui la riforma è stata varata; costoro, infatti, avevano accettato di rassegnare la proprie dimissioni in cambio di un congruo indennizzo che li avrebbe accompagnati alla pensione. Prima di accedere al trattamento previdenziale, avrebbero dovuto attendere, secondo le vecchie regole, 2 o 3 anni. Secondo le nuove, 6 o 7. Si troveranno, a un certo punto, senza indennizzo, senza salario e senza assegno pensionistico. Ebbene: presso il ministero del Lavoro si è insediato il tavolo tecnico permanente composto dal ministero stesso, da quello dell’Economia e dall’Inps. Tra 7 giorni forniranno le indicazioni per emanare, entro il 30 giugno, il famoso provvedimento ad hoc promesso da Elsa Fornero. L’idea sembrerebbe quella di concedere un’indennità di mobilità transitoria di, al massimo, 1.119 euro al mese. «L’importante è accompagnare queste persone alla pensione. Il problema di fondo non consiste nel nome che si intende dare all’eventuale soluzione, ma nel trovarla», afferma, raggiunto da ilSussidiario.net Giovanni Centrella, segretario generale dell’Ugl. «Chiamarla indennità di mobilità o in altra maniera – aggiunge – fa ben poca differenza».
Qualcuno potrebbe obiettare che, per molti, 1.119 euro rispetto al precedente stipendio, all’indennizzo ricevuto per cessare il rapporto di lavoro o all’assegno mensile, è ben magra soddisfazione. «Partiamo dal presupposto – replica – che il 95-96% dei lavoratori esodati sono operai o impiegati. Certo, figurano nella categoria anche i dirigenti. Ma, benché sia necessario tutelare anch’essi, rappresentano la quota minore». Anche l’Ugl, come tanti altri, chiede che per costoro si faccia una legittima eccezione. «Chiediamo una deroga che consenta loro di andare in pensione con le vecchie regole. Tuttavia, siamo pronti a discutere di qualsiasi altra soluzione». Quanti siano i cittadini interessati dagli esodi è un calcolo non ancora disponibile. Non ci sono, a oggi, stime ufficiali. Si va da un minimo di 60mila a un massimo di 357mila, come ha suggerito l’ex ministro del Lavoro Cesare Damiamo. «Secondo noi – afferma Centrella -, non è escluso che siano molti di più. Molti lavoratori hanno siglato degli accordi differenti da quelli delle grandi o medie aziende. Ovvero, intese prive dei crismi dell’ufficialità previsti dall’attuale disciplina, senza il coinvolgimento dei sindacati nazionali e del ministero del Lavoro. Si è trattato, in sostanza, di accordi individuali tra il lavoratore e l’azienda». In sostanza, «quando lo stesso presidente dell’Inps afferma che non possono essere conteggiati, siamo di fronte a un grosso problema. Sarebbe, quindi, necessario identificare una norma che consenta di applicare le deroghe a chiunque abbia sottoscritto un accordo di esodo».
Il segretario dell’Ugl ci tiene a sottolineare la disponibilità a non arroccarsi sulle proprie posizioni: «se il governo dovesse confessarci che non esiste altra soluzione se non quella di dare a tutti non più di 1119 euro, non mi straccerei le vesti per il dirigente che guadagnava molto di più. L’importante è che tutti siano messi nelle condizioni di poter arrivare alla pensione mantenendosi dignitosamente».
Si è calcolato che un’indennità del genere costerebbe attorno ai tre miliardi l’anno. «Non sta al sindacato individuare l’eventuale copertura. Già a suo tempo, in ogni caso, avevamo suggerito di introdurre una patrimoniale per far fronte alle esigenze». Domenica scorsa il sottosegretario all’Economia Gianfranco Polillo aveva liquidato la questione affermando che, essendo cambiate le condizioni a posteriori, gli accordi potevano essere considerati nulli. «Il sottosegretario ha fatto un’ipotesi semplicistica. Non è così che si risolvono i problemi. Del resto, non so come il sistema delle imprese potrebbe reggere all’urto di 350mila lavoratori che d’un tratto tornano al lavoro».
(Paolo Nessi)