C’è il rischio di un ritorno al lavoro nero. A lanciare l’allarme è il Ministro del Lavoro, Elsa Fornero, che, intervenendo all’Assemblea di ConfCooperative spiega che con la nuova Riforma del lavoro, ancora in discussione, potrebbe aumentare il sommerso. Una preoccupazione che il Ministro non nasconde e anzi ne richiama la responsabilità. Il Governo, ha spiegato, è stato costretto a mettere mano a una riforma con il più stretto rigore per uscire dalla crisi nel modo più veloce possibile, ma la ripresa stenta a decollare e si rischia di trascurare, forse, i segmenti più deboli. Ed è proprio nei momenti di crisi, ha tenuto a sottolineare, che c’è chi approfitta delle fasce in maggiore sofferenza sebbene lavoro nero e precarietà non conducano a uno sviluppo per il Paese. Abbiamo raggiunto Mario Mezzanzanica, docente di Sistemi informativi presso l’Università Bicocca di Milano, per commentare queste dichiarazioni.
Professore, perché con l’attuale Riforma del lavoro si corre il rischio di incentivare il lavoro nero?
Forse il rallentamento della discussione della Riforma potrebbe causare questo fenomeno. Ciò che è certo è che dai dati ufficiali negli ultimi cinque mesi si è innalzato il tasso di disoccupazione, soprattutto fra i giovani. Le aziende in grave difficoltà hanno rallentato le assuzioni in questo periodo, anche per l’incertezza dell’attuazione della riforma che è stata annunciata molto tempo fa. Io sono abbastanza critico su questa riforma per come concentra e rende meno flessibile la possibilità di muoversi nel mercato del lavoro o nella restrizione di dare continuità ad alcune forme contrattuali. Credo che il punto, sottolineato anche da Monti, sia quello di ricominciare a parlare di sviluppo e crescita che possono aiutare l’occupazione a crescere.
I precari possono rappresentare una categoria vulnerabile che potrebbe in futuro, incorrere in impieghi “in nero”?
Non credo. Oggi la precarietà è presente nel settore della Pubblica amministrazione, dove da anni non si svolgono concorsi per le assunzioni e si soffre di una incapacità di ricambio generazionale: il tutto aggravato dal fatto che l’attuale riforma non riguarda questo settore. Questo approccio voluto Ministro indebolisce la riforma. Nel settore privato, invece, soprattutto per i giovani, è una condizione di accesso al mercato con forme contrattuali che nell’arco di tre o quattro anni diventano, in molti casi (60-70%), contratti a tempo determinato.
Se ce ne dovessero essere, quali potrebbero essere le ripercussioni del lavoro nero sul mercato del lavoro?
Si accentuerebbero alcune criticità presenti e non si favorirebbero cambiamenti in alcune aree del Paese: ad esempio, il Mezzogiorno soffre da sempre di queste debolezze.
Quali potrebbero essere le categorie più vulnerabili?
Certamente quelle delle persone con bassa professionalità che sono quelle che hanno avuto maggiori criticità, soprattutto nell’anno nero del 2009, e che rischiano ancora durante questa situazione di non supporto alla crescita e di incertezza economica, di doversi arrabattare a fare qualsiasi impiego accettando, magari anche, impieghi in “nero”.
E i giovani?
I giovani con difficoltà nell’accesso al mercato non entrano nel mercato del lavoro nero: solitamente, si trovano nella condizione di non potersi confrontare con l’attività lavorativa che è un problema ben diverso. La rigidità del mercato non permette ai giovani di giocarsi una possibilità.
Pensa che il sommerso sia diffuso in aree che non presentano alte percentuali di disoccupati, oppure vanno di pari passo?
Secondo il mio parere, le due situazioni sono fortemente abbinate.