Eccetto stravolgimenti e imprevisti, la riforma del mercato del lavoro ce la terremo così com’è; ieri, è stata ulteriormente emendata (tra partiti e governo, sono state presentate 43 modifiche) in commissione Lavoro del Senato. E, da martedì, l’Aula dovrebbe far partire l’iter parlamentare per arrivare al più presto a un varo definitivo. Per inciso, “più presto”, in questo caso, non è una misura discrezionale. Significa entro e non oltre il 26 giugno. Il 26 ottobre 2011, infatti, il governo italiano si impegnò con l’Ue a varare la riforma entro otto mesi, dopo le sollecitazioni del commissario europeo per gli Affari economici e monetari, Olli Rehn. I cittadini si sono scordati di questo particolare. L’Europa no. Vuol dire che se dovessimo evadere la promessa, in sostanza, i mercati ce la farebbero pagare. Il senatore Maurizio Castro, che assieme al collega Tiziano Treu è relatore del Ddl lavoro e ha presentato i 16 emendamenti  proposti dai partiti, ci spiega in cosa consistono le principali novità introdotte in commissione.



Quali sono le modifiche maggiormente degne di nota?

Anzitutto, quella sulle partite Iva. Da un lato abbiamo mantenuto, seppur correggendola nei contenuti, la presunzione presente nel disegno Fornero in base al quale, laddove si individuino determinati indici di rischio, si ritiene che la partita Iva celi un rapporto subordinato e vada, quindi, forzosamente trasformata in co.co.pro; dall’altro, abbiamo stabilito che tutte le volte che un profilo soggettivo qualificato da un elevato titolo di studio o da una grande esperienza sul campo disponga di un reddito superiore ai 18mila euro, non sussista l’obbligo di conversione forzosa.



Perché proprio 18mila euro?

Abbiamo assunto il minimo previdenziale del lavoro autonomo moltiplicandolo per un coefficiente pari a 1.25; l’ipotesi, quindi, è che un reddito superiore al 25% del lavoro autonomo configuri, sul fronte delle partite Iva, un profilo di genuinità.

Avete introdotto anche un salario minimo per i Co.Co.Pro. Tuttavia, già la legge Biagi prevede che il corrispettivo sia commisurato a quello di analoghe prestazioni di lavoro autonomo

In effetti, la legge Biagi lo prevede. Abbiamo, infatti, semplicemente precisato il criterio di remunerazione, collocandolo a metà tra le tariffe professionali, tipiche del lavoro autonomo e le tariffe contrattuali, tipiche del lavoro dipendente. Abbiamo preso atto del fatto che il co.co.pro. rappresenta un istituto di confine che non va né demonizzato, né tollerato con lassismo, ma di cui occorre identificare tutte le condizioni di riferimento. 



 

Non avete avvertito l’esigenza di cogliere l’occasione per modificare sostanzialmente l’articolo 18? Molti, infatti, rinfacciano al governo e ai partiti di averlo lasciato pressoché invariato…

 

Benché sia sempre stato favorevole a una riforma incisiva, non sono d’accordo con chi sostiene la sostanziale identità tra il nuovo regime e il vecchio. In quello precedente, infatti, era prevista l’automatica reintegra per tutti i licenziamenti definiti illegittimi in sede giudiziale. Oggi, la reintegra sarà, di fatto, operata solamente nel 30% dei casi di licenziamenti illegittimi, mentre in tutti gli altri ci sarà il semplice indennizzo.

 

Secondo alcuni, si è persa un occasione per introdurre forme di flessibilità maggiori non tanto in entrata o in uscita, quando nel corso del rapporto di lavoro

 

Il famoso articolo 8 della manovra di agosto (che consente alle aziende operanti sul territorio di derogare dal contratto nazionale) è già un passo avanti in questa direzione. Certo, sussistono ancora diversi elementi di rigidità quali l’inquadramento, che impedisce l’elasticità nel passaggio da una mansione all’altra o i vincoli sugli orari di lavoro; ma per il resto non siamo così distanti dai parametri europei.

 

Che idea vi siete fatti lei e il senatore Treu sulle possibilità di un varo rapido della riforma?

 

Gli emendamenti sono stati concordati tra i partiti della maggioranza e tra i partiti e il governo; il perimetro politico dell’intesa mi sembra assolutamente blindato. Credo che si debba tornare agli anni ’60 per trovare intese così ampie su provvedimenti legati al mondo del lavoro. Basti pensare che lo stesso Statuto dei lavoratori non fu votato dal Pci.

 

Crede che la riforma sortirà effettivamente gli effetti desiderati?

 

Quando si deve trovare un nobile compromesso tra prospettive così diverse, il rischio è che si determini una paralisi; sono convinto, invece, che – pur non potendoci attendere effetti dirompenti e immediati sull’occupazione –  siamo riusciti a realizzare uno strumento in grado di accompagnare le imprese nella prossima fase che ci auguriamo essere quella della ripresa. Siamo, del resto, partiti da una situazione iniziale in cui si parlava di contratto unico e salario minimo garantito. Condizioni non particolarmente entusiasmanti per le imprese che siamo riusciti a modificare.

 

(Paolo Nessi)